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Avere dubbi e porsi delle domande sul conflitto in Ucraina non è solo lecito, ma doveroso, visto che le conseguenze saranno pagate in termini economici anche da tutte le famiglie italiane. E Dio non voglia che le ripercussioni siano solo il caro bollette, la chiusura di industrie e il conseguente licenziamento dei lavoratori.
Si ironizza molto sulla decisione di classificare questo scontro quale 'operazione militare speciale' e non 'guerra', considerato che le immagini televisive mostrano paesaggi di città distrutte e cadaveri.
Per un soggetto che proviene dalla complicata burocrazia sovietica (ma per esperienza personale posso garantire che anche quella della Federazione Russa non è più semplice) la denominazione delle cose ha una importanza rilevante.
Nel passato, il diritto di ricorrere alla guerra per la soluzioni di dispute tra Paesi non è mai stato messo in discussione come legittimità giuridica, ma tale situazione ha cominciato a modificarsi dopo la guerra del 1915-18, quando sono stati adottati i primi trattati internazionali che hanno stabilito limitazioni al ricorso alla guerra come mezzo per la composizione dei conflitti e la soluzione delle controversie internazionali (in particolare, il Patto della Società delle Nazioni del 1919 e il Patto Briand-Kellog del 1928).
La creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 1945, ha segnato nella Carta dell’Onu che non solo è vietato l’uso unilaterale della forza armata, ma anche la semplice minaccia dell’uso della forza (art. 2.4), ad eccezione delle azioni collettive militari intraprese dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’esercizio della legittima difesa individuale e collettiva da parte degli Stati.
L’Ucraina può quindi definirla “guerra” perché aggredita; la Russia, al momento, la definisce diversamente e ha le sue ragioni.
Se prima della Carta l’uso della forza era una delle forme correnti per risolvere i contrasti tra nazioni, in seguito la guerra è stata definita 'crimine internazionale' e quindi vietata dalla Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, la Dichiarazione sulla definizione di aggressione contenuta nella risoluzione 3314 (XXIX) del 1974 e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sul rafforzamento dell’efficacia del principio del non ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali, annessa alla risoluzione 42/22 del 1987.
Oggi, la dottrina prevalente riconosce che l’attacco armato contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato da parte di un altro Stato costituisce un crimine contro la pace e può quindi essere sancito. Capito ora? Se dichiari ufficialmente guerra, puoi andare sotto processo, in galera ed essere costretto a pagare in solido; con una Operazione Militare Speciale, non contemplata in nessuna convenzione, ti sei messo protetto maggiormente, perché la legge, a volte, è più forma che sostanza.
Infatti, oggi sono attive decine di conflitti che nessuno definisce “guerra” e anche l’Occidente non è stato con le mani in mano, intervenendo ovunque sotto l'etichetta di 'missioni di pace'. Tutto ciò fa parte dell’ipocrisia umana che vieta la guerra, ma nello stesso tempo la regola con norme su aspetti specifici. Ad esempio, la Convenzione di New York del 1981 proibisce armi che provochino sofferenze eccessive. Insomma, puoi ammazzare il tuo nemico, ma non dargli troppo dolore!
Massimo Carpegna
Massimo Carpegna
Visiting Professor London Performing Academy of Music di Londra. Docente di Formazione Corale e del master in Musica e Cinema presso Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi Tonelli..
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