Romano Prodi ha sbagliato, ma la violenza di genere è una cosa seria
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Romano Prodi ha sbagliato, ma la violenza di genere è una cosa seria

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La si deve ‘piantare’ di vedere violenze contro le donne anche laddove, evidentemente, violenze contro le donne non ci sono state


Romano Prodi ha sbagliato, ma la violenza di genere è una cosa seria
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Voglio essere chiaro: la violenza di genere esiste. Esiste.
Ed è una cosa seria. Alla base della quale si annida un problema di matrice culturale.
Che affonda le proprie radici in un modello – certamente errato e, però, sempre-verde – che, se, da un lato, contrassegna un fenomeno socialmente inaccettabile – imputabile, in ultima analisi, alla nostra debolezza morale (Papa Francesco) –, dall’altro lato, deve sempre essere investigato in chiave in primis sociologica.
Proprio perché, come detto, alla base della stessa si annida un problema di matrice culturale. Quello che innegabilmente dipende dal fatto che l’in se della violenza di genere sia rappresentato dal censurabile convincimento proprio del soggetto-agente che la donna sia una res. Vale a dire una cosa. Una cosa di proprietà del soggetto-agente stesso.
Questa, a ben guardare, è la vera essenza del fenomeno ‘violenza di genere’.

Con la conseguenza, volendo correttamente impostare il dibattito in materia, che tutto ciò che sta fuori da questo perimetro concettuale non è violenza di genere. Ma semmai e più semplicemente, è violenza.
Non è concetto nuovo questo. Nello stigmatizzare l’ingiustizia propria della barbara società di Polifemo, era lo stesso Ulisse a chiarire, nell’Odissea, che i Ciclopi vivevano allo stato di natura e che il loro mondo era un mondo senza legge proprio perché gli stessi ritenevano di essere «signori sopra le proprie mogli». Questo – esattamente questo – è il concetto.
E questa – esattamente questa – è la ragione per la quale il presupposto del ragionamento deve essere chiaro: la violenza di genere è una storia vera.
Basti considerare in proposito che quando, in data 25 novembre 2017, intervenni in qualità di relatore a Palmi, nell’ambito di un bellissimo convegno di studi intitolato «Dalla violenza contro la persona al femminicidio. Un modello culturale alle origini della violenza di genere», coloro che mi precedettero quali interventori rimarcarono tutti quanto sopra, citando a sostegno delle proprie osservazioni dati statistici invero drammatici: già allora, infatti, il 10,6% delle donne intervistate dalla relativa Commissione parlamentare aveva dichiarato di avere subito forme di violenza fisica e/o sessuale entro i primi sedici anni di vita. E se il 37,6% delle stesse aveva confessato di avere riportato ferite e/o lividi per mano del partner, il 20% delle medesime aveva ammesso di essere stata ricoverata in ospedale in conseguenza di ciò.
Ma ciò non toglie – questo è il punto – che del concetto di violenza di genere, proprio in quanto grave, non si possa abusare ad libitum, men che meno in chiave strumentale. È di queste ore il video della famosa intervista a Romano Prodi, reo, secondo taluni – recte: tanti – di avere serbato un comportamento classificabile alla stregua di violenza. Quale contegno avrebbe serbato nell’occasione l’ex premier? Avrebbe – ha; c’è il video – aggredito moralmente e fisicamente la giornalista Lavinia Orefici, sbeffeggiandola e tirandole i capelli.
Voglio essere chiaro ancora una volta. Perché credo sinceramente che, proprio perché la violenza di genere è una cosa seria, la si debba ‘piantare’ di vedere violenze contro le donne anche laddove, evidentemente, violenze contro le donne non ci sono state.
Nel caso di Romano Prodi, oggettivamente, non c’è stata nessuna violenza contro nessuna donna: siamo onesti: davvero si sarebbe parlato di violenza se, nell'occasione, Romano Prodi avesse sbeffeggiato un uomo e avesse tirato i capelli ad un uomo?.
Ma c’è stata – questo sì, a mio parere – inescusabile maleducazione. Perché si sta qui ragionando di una giornalista e, dunque, di una professionista. Che, con assoluto garbo, nell’occasione, ha semplicemente posto una legittima domanda ad un importante uomo politico. E rammarica – rammarica sinceramente – che un uomo politico – un ex premier peraltro – si sia permesso di serbare consimile, ‘boriosetto’, contegno contro una professionista che, nell’occasione – ripeto –, stava semplicemente facendo il proprio lavoro senza nemmeno avvertire il bisogno di chiederle venia a frittata fatta. Sarà anche vero che l’attualità politica ci ha abituati all’irrispettosa maleducazione di chi sembrerebbe capace di difendere le proprie idee unicamente ingiuriando l’interlocutore di turno.
Ma ciò non toglie che soprattutto chi, come Romano Prodi, rappresenta l’ex classe dirigente del Paese non dovrebbe mai abdicare al bon ton istituzionale e, prima ancora, al rispetto che sempre si deve a chiunque faccia semplicemente il proprio lavoro.
Questo, però, non significa – e va detto, a mio parere – che, per quanto spiacevole sia stato il comportamento serbato, nell’occasione, da Romano Prodi, possa essere qui scomodato in modo gratuito – recte: gratuitamente strumentale – il concetto di violenza. Perché la violenza di genere è davvero una cosa seria. Della quale è certamente sacrosanto – recte: doveroso – parlare.
Ma esclusivamente quando a stagliarsi sullo sfondo siano contegni che meritano davvero di essere sussunti nel paradigma concettuale proprio della stessa.
A) Perché non è mai bene stressare i concetti, stressare i concetti è sempre pericoloso. Da tutti i punti di vista.
B) perché, volendo tracciare un primissimo bilancio in materia, potremmo dire – credo – che, se tanto è stato fatto, negli anni, per contrastare, anche in chiave culturale, il problema della violenza di genere, tanto ancora, senza dubbio alcuno, resti da fare.
E non è certamente stressando i concetti, a mio parere, che, soprattutto dal punto di vista politico, si può pensare di contrastare efficacemente un fenomeno che, quale quello della violenza di genere, si appalesa, purtroppo, sempre troppo attuale. Occorre essere vigili in materia. Perché davvero non si possono mai dare per scontati i risultati raggiunti, non latente essendo il rischio di fare subitanei passi indietro. Ma se davvero vogliamo «stare in guardia» – sono parole di Silvia d’Oro –, siccome consapevoli che, qui, in gioco, ci sono i nostri diritti inviolabili consacrati negli articoli 2 e 3 della Costituzione, non possiamo millantare di vedere fantasmi dove fantasmi, oggettivamente, non ci sono. La maleducazione, a mio parere, è sempre inescusabile.
E, dunque, censurabile. Ma non contrassegna in nessun modo violenza.
La violenza di genere – ripeto – è una cosa seria. E, proprio per questa ragione, in subiecta materia, l’assoluta prudenza di giudizio può e deve essere sempre un must.
Corre l’anno 2025. E sinceramente è giunto il momento di smettere di processare le streghe.
Avvocato Guido Sola

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