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Riportiamo la lettera aperta scritta da Francesco Benozzo ai colleghi dell’Università di Bologna sul grave fatto di cronaca accaduto a Napoli nei giorni scorsi
Gentili colleghe e colleghi,
non so a voi, ma la notizia, passata abbastanza in sordina almeno nel mondo accademico, del suicidio di uno studente della Federico II di Napoli a pochi giorni da una laurea su cui aveva mentito alla famiglia (ancora non aveva i crediti necessari per laurearsi) a me ha lasciato molto turbato.
Da anni mi batto, con diversi interventi pubblici, anche nelle scuole stesse, per una non fraintendibile e non metaforica descolarizzazione, che ho argomentato in diversi modi, anche come padre di due ragazzi che studiano ora a un liceo, per provare a reagire allo scempio del concetto di apprendimento, allo svilimento aziendale del concetto di sapere, e ad altro su cui non sto per l’ennesima volta a tediare e tediarvi.
La notizia del povero ragazzo suicida, relativamente alla quale ho deciso di scrivervi questa mail, mi fa di nuovo riflettere sui gravi danni del sistema scolastico e universitario, un sistema che – al di là degli abituali slogan e delle consuete autoreferenziali affermazioni di cui tutti siamo in fondo protagonisti – invece di prendersi cura dei molteplici aspetti della vita dei ragazzi li addestra a diventare ciò che dovranno essere come futuri membri (stavo per dire sudditi) del dispositivo statale, premiando solo chi vince, chi “ce la fa”, chi “è bravo” (bravo a fare ciò che il dispositivo stesso impone come “cosa buona e giusta”). Il tutto in nome di un non ben chiaro concetto di “premialità” e di un assai poco credibile anelito alla “meritocrazia”. Questa situazione porta chi invece non ce la fa a sentirsi un inferiore, un reietto, un individuo non all’altezza.
Non è invece che proprio chi non fa parte del coro, chi non riesce ad essere parte del coro, andrebbe – proprio all’Università –protetto o addirittura, almeno per come la vedo io, valorizzato? (Aggiungo, solo a margine, che si parla sempre poco del fatto che sono in media 2300 i giovani in età scolare che si tolgono la vita in Italia ogni anno).
Lo studente dell’Università di Napoli che si è tolto la vita per avere mentito ai famigliari su una laurea imminente che invece non aveva raggiunto, al di là dei problemi personali di cui nessuno ovviamente sa, non è anche una conseguenza di questo modello di vita imposto a noi tutti dal dispositivo di soggiogamento?
Vi confesso che oggi, di fronte a questa tragedia, provo – per l’ennesima volta – un’indicibile vergogna a essere un professore dell’Università. In un mondo vagamente sensato, io credo anche – e gli ho scritto una lettera raccomandata al proposito – che, invece che mandare vacui comunicati di cordoglio e altro, il nostro collega Matteo Lorito, Magnifico Rettore di quell’Ateneo, dovrebbe avere la dignità di dimettersi.
Scusate l’intromissione, che non è certo solo uno sfogo ma anche un appello a un confronto, e buone festività,
Francesco Benozzo
Redazione Pressa
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