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La violenza di genere è cosa che disintegra due famiglie: quella della vittima e quella del carnefice. “Adolescence” invita espressamente a riflettere su questo. Né su questo pare possibile continuare a non riflettere se davvero si vuole sperare che, a valle di gravi fatti di violenza, ci possa essere, per quanto nascosta e non facilmente individuabile, una qualsivoglia forma di speranza di ricucitura in vista del futuro.
Recentemente ho avuto la fortuna d’ascoltare Stefano Rossi considerare in merito ad amore e violenza di genere. Nell’occasione, più precisamente, il noto psicologo, ospite del Rotary club Frignano, ha potuto ragionare con insegnanti e genitori di quelle che sono le più ancestrali dinamiche psicologiche proprie della violenza di genere anche laddove la stessa, come sovente accade, non si limiti ad impattare sul piano esclusivamente adolescenziale.
Se corrisponde a verità, infatti, che alla base della violenza di genere s’annida ancora oggi un modello culturale che tende ad intravedere nella donna una res – vale a dire una (malintesa) proprietà del carnefice –, «l’amore» – ha ricordato Stefano Rossi nel concludere – «è una danza tra due libertà. Amore è due io separati che danzano insieme».
All’esito della lectio, come usualmente accade, gli sono state poste domande dal pubblico.
A destare la mia attenzione, in particolare, è stata la domanda posta da un’insegnante che ha prontamente colto l’occasione per accendere i riflettori della riflessione sulla nota serie televisiva “Adolescence”, chiedendo a Stefano Rossi se si trattasse davvero di serie da proiettare nelle scuole come già proposto oltre Manica. La risposta del noto psicologo è stata netta: sì, a patto che si ragioni di ragazzi ultra-sedicenni, perché “Adolescence” è una serie pensata per i genitori». L’affermazione m’ha profondamente colpito, a tal punto da indurmi a completare immediatamente la visione streaming della stessa.
Ho potuto così constatare come la Produzione abbia inteso dedicare l’ultimo episodio della serie a tema che, nel dibattito, non viene pressoché mai lumeggiato se non in termini “scontatamente” negativi: mi riferisco, più specificamente, alla constatazione in base alla quale, se correttamente analizzata dal punto di vista causa-effetto, la violenza di genere sia cosa che disintegra due famiglie: non solo quella della vittima, ma anche quella del carnefice. Nell’ultimo episodio della serie, da questo punto di vista, il dramma della famiglia Miller si fa pressoché “fisico”, così prepotente diventando via via la disperazione d’una mamma e d’un papà, quelli di Jamie, che, impotenti, si continuano a chiedere ossessivamente «dove abbiamo sbagliato?».
Nella consapevolezza – ma davvero si tratta di consapevolezza corretta? – di avere sbagliato visto ciò che è accaduto a Jamie, ma senza essere in nessun modo in grado nemmeno d’ipotizzare «dove» – anzi. Incapaci di formulare ipotesi, i due, in preda all’assoluto sconforto, si limitano a ripete ossessivamente «eppure deve essere colpa nostra, perché l’abbiamo messo al mondo noi» –.
La violenza di genere è un crimine. E il crimine, per sua natura, è distruttivo.
Perché distrugge l’equilibrio sociale. E perché, quando impatta sul bene giuridico vita, travolge d’improvviso intere famiglie.
Ivi compresa, però – questo è il punto –, anche quella del carnefice.Da questo punto di vista, trovo anche epidermicamente “curioso” il fatto che le persone non abbiano remore a tracciare automatici parallelismi tra carnefice e famiglia del carnefice. Perché, per quanto il crimine, soprattutto ove grave, generi disperazione umanamente comprensibile, davvero non credo esista nessuna automatica connessione tra carnefice e famiglia del carnefice. Ciò anche in considerazione del fatto che, spesso, a venire in emergenza sono famiglie che oggettivamente vivono vite improntate a quelli che nessuno avrebbe remore a definire valori men che corretti.
Se quanto precede è corretto, però, allora la vera domanda diventa: come possono le colpe d’un figlio essere così “scontatamente” ricondotte automaticamente alla famiglia?
Com’è possibile non comprendere che davvero la violenza di genere è cosa che disintegra altresì la famiglia del carnefice?
Il crimine cagiona sofferenze talvolta indicibili. Ma indicibili, nel caso della violenza di genere – e la nota serie televisiva “Adolescence” ha innegabilmente il merito di sottolineare nettamente la cosa –, sono altresì le sofferenze della famiglia del carnefice. Se è empatia che è doveroso riservare a chi soffre, insomma, davvero fatico a comprendere la ragione per la quale, a livello di opinione pubblica, empatia venga così spesso negata a famiglie alle quali francamente non credo possa essere automaticamente imputata la soppressione d’una vita da parte d’un loro caro.
La speranza, ove davvero volessimo infine trovare una via anche solo latamente rispondente alle logiche della giustizia riparativa per uscire dalle secche del deserto di rabbia e frustrazione che il delitto scava intorno a sé stesso, è che, per il futuro, il dibattito in materia di violenza di genere inizi a tenere presenti anche gli strascichi, invero pesanti, a carico delle famiglie di Caino.
Difficile – davvero difficile, a mio parere –, in caso contrario, che, a valle di gravi fatti di violenza di genere, ci possa essere, per quanto nascosta e non facilmente individuabile, una qualche forma di ripartenza in vista del futuro.
Avvocato Guido Sola
Foto Autorità garante infanzia
Guido Sola
Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Dottore di ricerca in Scienze penalistiche presso l’Università degli Studi di Trieste. Già assegn..
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