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Carlo Rovelli è uno dei più noti fisici nella comunità scientifica internazionale. Attualmente insegna in Francia all'Università di Aix-Marseille. La sua principale attività è nell'ambito della teoria della gravità quantistica a loop (Loop Quantum Gravity), di cui è uno dei fondatori. La sua capacità di analisi è stata riconosciuta nel 2019, quando è stato inserito nella lista dei 100 migliori pensatori del mondo («Global Thinkers») dalla rivista Foreign Policy, grazie al suo saggio L'ordine del tempo. Insomma, Rovelli non è uno di quei tuttologi tanto di moda oggi, ma un uomo con un cervello raffinato ed esercitato a valutare i fenomeni per quello che sono e non secondo ideologie e schieramenti pre-costituiti.
Recentemente, ha espresso il suo pensiero sull’atteggiamento dell’Occidente verso il conflitto in Ucraina attraverso un lungo post il cui cuore è riassunto in queste parole:
'L’illusione che tutto possa essere pulito e onesto nel mondo l’ho persa da tempo. Ma l’esplosione dell’ipocrisia dell’Occidente in questo ultimo anno è senza pari. D’un tratto, l’Occidente, tutti insieme in coro, ha cominciato a cantarsi come il detentore dei valori, il baluardo della libertà, il protettore dei popoli deboli, il garante della legalità, il guardiano della sacralità della vita umana, l’unica speranza per un mondo di pace e giustizia. Questo canto a quanto l’Occidente sia buono e giusto e quanto gli stati autocratici siano cattivi è un coro in unisono ripetuto all’infinito da ogni articolo di giornale, ogni commentatore televisivo, ogni editoriale. La cattiveria feroce di Putin è additata, ostentata, ripetuta, declamata, all’infinito. (.
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) Sarei felice di unirmi al coro, se ogni volta che condanniamo il fatto - del tutto esecrabile - che la Russia pretende di cambiare il regime politico di Kiev perché questo regime le si ribella, mi assommerei al coro se l’Occidente aggiungesse “E io Occidente quindi mi impegno a non fare mai più nulla di simile in futuro, come ho fatto quando ho bombardato la Libia, invaso l’Iraq, destabilizzato governi del mondo intero, dal Medio Oriente al Sud America, dal Cile all’Algeria, dall’Egitto alla Palestina ogni volta che un popolo votava per un governo troppo poco favorevole agli interessi occidentali, buttando giù governi democraticamente eletti come in Algeria in Egitto o in Palestina, per invece sostenere dittature come in Arabia Saudita solo perché fa comodo, anche se i Sauditi continuano a massacrare Yemeniti'.
L’Occidente non ha mai recitato “mea culpa” e la conseguenza di questa posizione verso la Russia è duplice: da un lato si è costruito una sorte di Vallo di Adriano tra noi e Mosca - e questo odio porterà ad una nuova cortina di ferro più solida e terribile di quella precedente – e dall’altro si spingerà Mosca verso Pechino, a costituire un’alleanza economica e militare che presto s’imporrà su tutte le altre per capacità produttiva, materie prime e popolazione, mettendo in riga anche la spavalda America e l’ossequiente Europa.
Sulle ragioni di questa reazione muscolare verso la Russia ordinata dagli Stati Uniti, le spiegazioni possono essere poche, togliendo di mezzo quelle fantasiose e di comodo che vedono un Putin malato e impazzito, nostalgico dell’Unione Sovietica o della Santa Madre Russia, piccolo Hitler o zar, che vuole ricostituire un impero. La Russia non ha bisogno di altra terra, essendo lo Stato più vasto al mondo e con una densità di 9 persone per chilometro quadrato; non ha neppure fame di ricchezze naturali, visto che è lei ad esportarle tutte. Se non basta ancora questa spiegazione, il conflitto in Ucraina nasce dal contrasto nel Donbass tra il governo di Kiev e quelle popolazioni russofone e russofili, che non gradivano il taglio netto con quella che consideravano ancora la Patria d’origine. Solo Mosca ha tentato fino all’ultimo di risolvere questa questione e l’allargamento della NATO verso i propri confini attraverso la diplomazia ed è logicamente irricevibile la teoria che chi vuole partire alla conquista del mondo sia lo stesso che s’impegna ad evitare lo scontro.
Ritorniamo alla domanda: perché gli Stati Uniti hanno spinto per una risposta così salda verso un conflitto territoriale che poteva tranquillamente essere evitato? L’Ucraina non fa parte dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica e non avevamo alcun obbligo per mandare aiuti economici e militari al governo di Kiev. Neppure “morali”. Come giustamente ha sottolineato Rovelli, lunga è la lista di conflitti nei quali siamo stati noi a recitare la parte che ora è di Mosca, senza che nessuno si opponesse e ci dipingesse quali macellai (tranne i libici, gli iracheni, i cileni, ecc...). I media non hanno raccontato i nostri bombardamenti a tappeto e le città completamente distrutte, i civili, le mamme e i bambini uccisi con la stessa narrazione di condanna senza attenuanti. Nessuna cronaca commovente: evidentemente, non tutti i morti sono uguali.
Indubbiamente, conviene puntare il dito accusatorio solo ed esclusivamente su Putin così da nascondere le proprie responsabilità a provocare battaglia, finanziando le due rivoluzioni ucraine, scegliendo di fatto i Presidenti del nuovo corso, armando e addestrando l’esercito di Kiev, dotandolo addirittura di laboratori batteriologici nella previsione di un contrasto con la Russia A chi contesta questi fatti, che la stessa America non rinnega, si può proporre una prova ulteriore: fino al 2013, e durante la presidenza Trump, non è morto un ucraino nel Donbass. I cannoni hanno tuonato solo con il Premio Nobel per la Pace Barak Obama e con l’attuale Joe Biden al quale non si sa ancora quale premio gli assegnerà la Storia.
Oltre alla ragione di distogliere lo sguardo dal “cane che ha abbaiato” ai confini della Russia, ve ne è un’altra, più sottile: la volontà di mantenere lo status quo, con gli Stati Uniti al vertice di una piramide economica e militare, liberi di agire indisturbati ovunque nel mondo. Ma una parte del mondo, probabilmente la meno ricca ma anche la più popolosa e in espansione, si è stancata di questa sorta di dittatura anglo-americana, che divide i Paesi in vassalli, nemici o nullità, interessanti solo se hanno qualcosa da prendere.
Al di là del conflitto e della sua narrazione, stiamo assistendo a uno scontro ben più grande, complesso e significante tra due visioni del futuro e dei rapporti tra le nazioni, tra un’ottica monopolare e quella multipolare del mondo, tra una società conservatrice, identitaria e legata agli antichi valori e quella aperta, inclusiva, ma appiattita su quella americana e decadente, tra il dominio del dollaro quale moneta di riferimento e altre divise emergenti. L’Occidente spera di uscirne ancora una volta vincitore, ma molti sono gli Stati che hanno già fatto una scelta diversa e tanti altri, quelli considerati “nullità”, osservano e forse sperano che sia il nostro impero a crollare e non quello presunto di Putin e Xi Jinping.
Massimo Carpegna