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'La prima lezione che dobbiamo trarre dalla vicenda della catastrofe climatica che ha colpito la Romagna ai primi di maggio è che questo territorio non va ricostruito ma va riprogettato. Non è possibile ricostruire dov’era e com’era. Condomini e nuove lottizzazioni residenziali e produttive non possono continuare ad essere edificati come se nulla sia successo e magari in zone allagate o potenzialmente allagabili da corsi d’acqua in caso di eventi alluvionali. Non si può far finta di nulla rispetto alle previsioni dei piani che vietano (che “sconsigliano” quantomeno) l’edificazione lì in quei posti.
Con quello che è successo la Romagna è il perfetto esempio di una geografia umana che non può resistere agli effetti di un clima sconvolto dalle emissioni di combustibili fossili. Il reticolo di fiumi è stato ingegnerizzato e canalizzato decenni fa, reso pensile con argini sempre più alti, alvei stretti e rigidi.
Un territorio bonificato, prima per guadagnare terra alle paludi e poi perché serviva sempre più spazio per costruire e per l’agricoltura. Ai fiumi è stato tolto spazio, e quello spazio, quando avvengono eventi alluvionali, i fiumi se lo riprendono.
Questa alluvione di oltre 20 fiumi ci dice che ai fiumi serve più spazio naturale per allagarsi in condizioni più controllabili, quando ce n’è bisogno. Allontanando gli argini, spostando se serve campi coltivati, fabbricati, case e capannoni, rinaturalizzando le sponde ovunque è possibile farlo. Alla pianura serve un mix di ingegneria ed ecologia. Lo stesso piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici non parla di dighe, né per la siccità né per le inondazioni. Dobbiamo restituire spazio ai fiumi.
Nonostante una legge regionale di governo del territorio che assume come obiettivo il consumo di suolo “a saldo” zero al 2050, dal 2018 a oggi abbiamo continuato a consumare suolo allo stesso ritmo degli anni precedenti, anche in aree a pericolosità idraulica.
Non si può continuare a “consumare” suolo a questo ritmo: 19 ettari al giorno, 2 mq al secondo, 548 ettari in aree allagabili in un solo anno (ISPRA). Dobbiamo rispettare le zone sensibili, fragili e vulnerabili (che devono essere considerate “zone Off limits”).
Secondo il climatologo e fisico del CNR Antonello Pasini, 'L'equazione dei disastri', ovvero il livello del rischio è dato non dalla somma ma dalla moltiplicazione di 3 variabili: la Pericolosità dell'evento stesso ( eventi metereologici), la Vulnerabilità del territorio (impermeabilizzazione …) e l'Esposizione di persone o manufatti (insediamenti civili o produttivi). Quello che importa è che dobbiamo diminuire il valore di questi tre fattori se vogliamo diminuire il rischio. La Pericolosità è difficile diminuirla, ma quantomeno possiamo pensare di non aumentarla. Perché le ondate di calore dipendono dal riscaldamento globale, i massimi di precipitazione dipendono da quanta energia c'è in. Quindi noi dobbiamo essere consapevoli che non potremo tornare indietro con la temperatura almeno ancora per un po’ di decenni, ma dobbiamo pensare di stabilizzarla agendo seriamente per ridurre e azzerare le emissioni di gas climalteranti, al più tardi entro il 2050.
Da un lato, dobbiamo agire per ridurre il tempo che intercorre fra il momento in cui cade l'acqua al suolo e il momento in cui la quantità d'acqua che ruscella raggiunge il corpo d'acqua recettore (canale, corso d’acqua, torrente, fiume), adottando soprattutto nature based solutions. E dall’altro, non abbandonando le montagne e le campagne, ma mantenendole. Non asfaltando e cementificando ovunque. Rendendo quindi le città più resilienti e verdi, in modo tale che la pioggia violenta possa essere assorbita di più di quanto accade oggi. Anche con lavori idraulici, evitando però cose che abbiamo fatto finora, come i tombamenti dei corsi d’acqua sotto le città. In più, occorre avere chiaro non servono più opere, ma una revisione epocale della gestione dei fiumi e del territorio. Restituire spazio ai fiumi non c’entra nulla con il “non fare”, ma al contrario è fare quello che serve davvero.
Non possiamo pensare di agire e intervenire con lo stesso approccio mentale, culturale, tecnico, che ci ha condotto fino a qui. È necessario cambiare approccio, costruire nuove strategie, produrre una svolta radicale nelle politiche di contrasto al cambiamento climatico, al consumo di suolo e al dissesto idrogeologico'.
Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna