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A un anno dall'ultimo nostro incontro con lui, seguito ad un altro, un anno prima, Stefano, modenese, è ancora lì. A vivere, da più di 5 anni, nella roulotte posteggiata nel piazzale antistante a Porta Aperta, la struttura di accoglienza della Charitas. Lì, quasi quotidianamente, riceve un pasto caldo. Per il resto si arrangia come può. Il riscaldamento dentro la roulotte, dove vive da quando per motivi famigliari si è trovato in strada, senza sostentamento, non c'è. Solo robuste coperte. Un pochino di elettricità, ma solo per caricare il cellulare e poco più, la ricava da un pannello solare attaccato ad una batteria. Con lui c'è sempre il cane, meglio un cane. Il suo amico a 4 zampe, che funge anche da deterrente ai malintenzionati della zona.
In quel piazzale, davanti ai suoi occhi e da quelle finestre della roulotte crepate in molte parti e tenute insieme dal nastro adesivo, continua a girare di tutto. Un mondo parallelo, soprattutto di notte. Sbandati, senza fissa dimora, richiedenti asilo in stato di ubriachezza o con evidenti problemi, che passano le giornate guardando telefonini. Se ti fermi a parlare nel piazzale, ti girano intorno. Quasi a marcare il territorio. Da anni, sotto la telecamera del Comune con vista su quel piazzale c'è anche un furgone colorato, sempre fermo lì, usato come magazzino di chissà cosa. Da anni. Prima ci dormivano e lo documentammo. Ora è pieno di centinaia di chili di materiale ammassato dentro e fuori, sul tetto, e in cabina.
Stefano ha trovato un accordo tacito, un una sorta di patto di non belligeranza per evitare lo scontro con gli stranieri allo sbando, lì fuori. Non vuole cedere alle provocazioni. 'Voi non disturbate me e io non lo faccio con voi'. Una regola semplice ma che spesso non funziona con gli stranieri appena arrivati. 'Provocano, vengono a fare pipì vicino alla roulotte, nonostante il parcheggio sia enorme. Accolti a Porta Aperta. Roba da una notte o due, a volte anche solo questione di ora, prima di vederli partire, con destinazione albergo. Con tanto di cellulare in mano' - dice.
'Non so come facciano, hanno telefoni da 1000 euro. Io, grazie anche ad alcuni amici, riesco a utilizzare un telefono che ho del 2017, anno in cui mi crollò il mondo addosso. Ma non mi lamento'. Anche se segni di insofferenza, Stefano, li mostra. Il perché è presto chiarito: 'Per accedere alla struttura di accoglienza dove avrei vissuto in uno stanzone insieme ai richiedenti asilo, dovevo rinunciare al cane. Affidandolo al canile. Non lo avrei più rivisto. Ho rinunciato. Poi, due anni fa, le condizioni economiche erano un pochino migliorate. C'era una entrata mensile. Insomma, avrei avuto la copertura almeno per l'affitto di una stanza privata. Sul mercato. Stefano è deciso a prenderla. L'offerta arriva, ma il privato che affitta chiede, come consuetudine, una garanzia, che Stefano, non può assicurare. 'In quel momento il Comune, che si era reso disponibile a fornire una garanzia, fa un passo indietro. Dice che non si può fare' - racconta Stefano. Senza garanzie, niente stanza. Ancora roulotte, in vista di un altro inverno. 'Mentre agli stranieri irregolari e clandestini in arrivo nell'ultima ora, una sistemazione, anche in albergo la trovano, io, italiano, che fino ad una disgrazia, nel 2017, vivevo una vita normale, nella media, attendo una stanza da sei anni' - afferma. 'Mi sento ancora discriminato, solo per essere italiano. Evidentemente anche perché con l' assistenza e l'accoglienza agli italiani non si guadagna come con gli stranieri. E dopo 6 anni sono ancora qua'.
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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