Il parroco di Castellino Don Ernesto Talè (nella foto) e la sua domestica Maria Belleni vennero uccisi nella notte tra l'11 e il 12 dicembre del 1944 a Castellino di Guiglia. Il fascicolo processuale rinvenuto dallo stesso Giovanni Fantozzi presso la sezione istruttoria della Corte d'Appello di Bologna parla chiaro: si trattò di un assassinio commissionato da Ida Bertinelli e dal figlio Odorardo Solfanelli, che con la famiglia conducevano a mezzadria il podere parrocchiale di Castellino, ed eseguito materialmente da cinque partigiani comunisti: Celestino Lambertini, Luigi Mazzoni, Luigi Dozzi, Mario Dozzi e il capobanda Luigi Nervuti.

Nei confronti dei colpevoli però i giudici applicarono l'amnistia agli inizi del 1947 accettando la tesi secondo
Come dimostra Fantozzi in modo dettagliato, quel sacerdote non era mai stato una spia, tanto che fu egli stesso catturato in un rastrellamento compiuto dei fascisti che gli saccheggiarono anche la canonica, ma fu invece vittima di una situazione tragicamente paradossale che vide intrecciarsi il risentimento della famiglia dei mezzadri verso quello che veniva visto come un prete-padrone, l'astio di una piccola comunità montana maturato nel sottobosco della superstizione sobillata da un sedicente santone-profeta, già emarginato dalla chiesa e in lite col parroco, tale Vittorio Antonio Scorzoni, e il contesto di una lotta partigiana in cui era molto diffusa l’ostilità politica e religiosa contri preti.
Don Ernesto Talè venne isolato e calunniato in vita e anche dopo l’omicidio, avvenuto dopo averlo fatto uscire di casa con l’inganno nella notte del 12 dicembre 1944, la sua figura venne dimenticata. Il suo corpo, esumato dal terreno dove gli assassini lo seppellirono insieme a quello della fedele domestica, dopo quasi un anno dal delitto, venne sepolto nel cimitero di Roccamalatina. Al suo funerale non andò quasi nessuno e per qualche tempo solo una nuda croce in legno (col cognome addirittura storpiato) ricordò il suo sacrificio, chiari indizi della rimozione collettiva di un delitto per il quale in molti, in un modo o in un altro, si sentivano chiamati in causa.
Ebbene, Giovanni Fantozzi con questo libro rende giustizia a una verità, a un uomo e a una donna giusti, che dopo essere stati diffamati in vita, furono presto dimenticati dopo la morte, nonostante che questo delitto, secondo l’autore, sia “il più grave tra quelli di cui furono vittime esponenti del clero nel periodo bellico e postbellico in provincia di Modena”. Ma oggi, grazie alla caparbietà e la meticolosità di Fantozzi, la loro storia è stata riscritta. O meglio, raccontata per la prima volta. Ecco allora che c'è qualcosa di bello e puro nello sfogliare le pagine di questo volume, pieno di documenti, lettere, prove (addirittura Fantozzi ha perlustrato il luogo dell'omicidio ritrovando un bottone del mantello della vittima a quasi 80 anni di distanza).
Nel leggere questa storia ci si sente partecipi di una azione di riscatto e di verità.
Ma poi, chiudendo il libro, nonostante tutto, ci si concede un lieve sorriso: nonostante tutto il dolore, la cattiveria, l'ignoranza, la superstizione, il Male dopo 80 anni non ha vinto. E la giustizia, almeno nel ricordo, ha trovato uno spiraglio dove poter germogliare.
Giuseppe Leonelli