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Decine e decine di unità di plasma iperimmune, più di 150, prelevato in provincia di Modena da donatori guariti dal Covid e pronte a diventare, attraverso trasfusione, cura per ammalati, in realtà inutilizzate, giacenti presso il centro trasfusionale del Policlinico di Modena e, a quanto pare, senza prospettiva di essere utilizzate per la cura del covid.
'Dopo un primo momento di entusiasmo nel quale sembrava fosse l'unica cura possibile per il covid, studi ed articoli apparsi su prestigiose riviste scientifiche hanno dimostrato che il plasma iperimmune non serve per la cura dei pazienti gravi ma serve solo in caso di malattia iniziale, rendendo il suo utilizzo di fatto impraticabile' - spiega il Direttore del centro trasfusionale presso il Policlinico di Modena Giovanni Ceccherelli. Da qui, la riduzione drastica di domanda e l'accumulo di unità di plasma prelevate.
'Abbiamo iniziato a gennaio a raccogliere il plasma iperimmune da donatori guariti dal covid, iniziando dai centri Avis, quando la richiesta era alta. Poi quando si è capito che non era questa la destinazione, l'utilizzo è calato di molto al punto che delle 160 unità stoccate l'utilizzo è scarso'. In pratica, il plasma che decine di volontari guariti dal covid hanno voluto donare e continuano a donare come cura ad ammalati, in realtà non viene utilizzato, almeno per tale scopo. Nonostante la disponibilità, praticamente nessuna cura (il numero dovrebbe essere nell'ordine di una unità utilizzata su 160), viene praticata. Forse non proprio una bella notizia per i donatori guariti dal covid che con il loro gesto pensavano di dare un valore aggiunto alla loro donazione, rendendo utile la loro malattia, cedendo anticorpi a persone malate.
Il punto rimane il perché, una volta verificato il mancato effetto della cura su pazienti gravi, il plasma non viene utilizzato per i contagiati con malattia allo stadio iniziale dove la cura funzionerebbe. Il motivo sarebbe legato ai numeri ben più ampi dei soggetti contagiati e con sintomi lievi, rispetto a quello delle persone ricoverate.
'Se poniamo 5000 nuovi contagiati al giorno a livello nazionale' - spiega Ceccherelli incontrato in occasione dell'ultima assemblea Avis, 'ci troveremmo nella necessità di garantire altrettante unità di plasma, cosa impraticabile'. Come dire, la terapia con plasma iperimmune poteva funzionare, anche in termini di disponibilità di unità, in relazione ai numeri più ristretti di pazienti gravi, ma non per i grandi numeri di pazienti con malattia allo stadio iniziale. Da qui la scelta di abbandonare nella pratica tale terapia, e con essa le decine di unità di plasma iperimmune che nessuno, o quasi, nel mondo sanitario, chiede più.
Il problema non detto potrebbe essere ricondotto anche ad uno spostamento nella valutazione dell'utilizzo ad un livello di base, e non più ospedaliero e strutturato, della valutazione sul procedere o meno. A questo livello ci sono i medici di famiglia, già coinvolti direttamente nelle vaccinazioni e che, in questo caso, sarebbero chiamati a valutare per ognuno dei tanti casi di contagi con malattia allo stadio iniziale, l'opportunità di una trasfusione con plasma iperimmune. Fatto sta che anche a Modena, i dati confermano l'accantonamento di questa cura e di queste unità che dopo un certo periodo di stoccaggio non potrebbero comunque essere utilizzate come cura iperimmune, ma solo come 'normale' plasma. Vanificando la funzione e la destinazione per le quali erano state prelevate.
Gi.Ga.