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Una commissione tecnica regionale che ha svelato sostanzialmente la fragilità degli argini del Panaro, che ne ha provocato la rottura e dato origine alla quinta rotta in 60 anni in un tratto del fiume quasi alle porte di Modena. Più di 80 milioni di euro di danni a Nonantola e zone limitrofe, per buona parte ancora da risarcire, e nessun intervento per prevenire che in quel maledettamente fragile tratto di fiume una rottura del genere possa ripetersi. Perché su quel tratto di fiume Panaro che divide le porte di Modena a nord della Fossalta e dalla confluenza del Tiepido e fino al ponte di Navicello nessun intervento strutturale è stato fatto. Partendo dall'analisi della composizione di quegli argini che allo stato attuale (e il collasso del 2020 lo ha dimostrato), sono strutturalmente fragili al punto da collassare anche con un livello del fiume in piena sicurezza teorica, come lo era nel 2020, ovvero con più di un metro di franco rispetto alla sommità dell'argine.
Tre anni fa, La Pressa documentò in diretta, a poche ore dalla rottura, la falla creata dall'acqua nell'argine del fiume Panaro, in località Bagazzano. Uno squarcio ed un collasso creatosi all'alba sull'argine in destra, nonostante il livello dell'acqua, regolato dalle casse di espansione a monte, fosse tenuto ad un livello di relativa sicurezza, con un franco della sommità dell'argine stesso di almeno un metro. Una falla che da pochi metri diventò enorme, interessando un fronte di circa 70 metri dal quale milioni di metri cubi di acqua si riversarono nelle campagne in direzione sud travolgendo a pieno la zona industriale di Nonantola e successivamente il centro storico della città. Generando danni per più di 80 milioni di euro. Ad abitazioni, imprese, strutture ed edifici pubblici. Paradossalmente la cifra che sarebbe sufficiente per adeguare le arginature e la manutenzione del Panaro dalla Cassa di espansione al confine regionale.
La diretta di due anni fa dal punto della rotta
La vista dall'alto e dai mezzi di soccorso di Nonantola e del tratto di rotta
Due le criticità fondamentali emerse il 6 dicembre di tre anni anni fa. Criticità evidenti che, paradossalmente, anziché entrare nelle discussioni e nei dibattiti istituzionali sulla prevenzione di eventi simili futuri, ne sono state escluse. Lasciando di fatto quelle criticità allo stesso livello del 2020.
La prima è legata all'evidenza della fragilità strutturale dell'argine del Panaro (confermata dalla commissione tecnica regionale sulle cause della rotta), e nello specifico di un tratto di circa due chilometri, teatro non solo di 5 rotte dagli anni 60 ad oggi ma che, nel 2014, nello stesso giorno della rotta del Secchia, aveva mostrato un altro pericoloso cedimento, 'tamponato' solo in extremis da un gruista della zona che si mise a rischio per evitare che le alluvioni, quel giorno, fossero due.
La seconda è legata alle circa sette ore trascorse dalla rottura dell'argine all'inizio degli interventi di riparazione dello stesso, poi avvenute in tempi record. Intervallo di tempo lunghissimo, documentato da La Pressa, quello trascorso dalla rottura dell'argine ai primi interventi per la riparazione, durante il quale da pochi metri la falla nell'argine si è allargata a circa 40 metri, poi a 70, scaricando milioni di metri cubi di acqua verso Nonantola. Senza che nessuno agisse. Nella diretta de La Pressa sul punto della rotta, insieme a Massimo Neviani del Comitato Salute Ambientale di Campogalliano, documentammo che fino alle 12,15 nessun mezzo pesante (gru e camion) salì sull'argine (presumibilmente per l'inadeguatezza, altrettanto documentata, della rampa di accesso all'altezza del viadotto Tav, a circa 400 metri dal punto della rotta), e che allo stesso orario non era stato trasportato sul posto nessun mezzo, e nessun tipo di materiale funzionale ai lavori di riparazione.
Doveva trascorrere almeno un'altra ora, dalle 12,15, per l'avvio dei lavori sulla falla. Anzi, di più. Intorno alle 15, confermò Aipo sul proprio sito, venne posto il primo masso ciclopico. Trascorse più di 8 ore dal collasso dell'argine. Sette ore per iniziare i lavori sulla falla. Perchè? Sul tema delle rampe di accesso agli argini, fondamentale per garantire la tempestività di intervento dei mezzi da cantiere, ponemmo la domanda all'assessore regionale Priolo a margine di una visita alla cassa di espansione del Panaro nel giorno della prima fase del collaudo (le successive due non sono ancora state fatte). Ricevemmo soltanto la conferma che il problema esisteva insieme alla promessa di impegno a studiare e monitorare tali criticità.
La domanda all'Assessore regionale Priolo posta pochi mesi dopo l'alluvione, e la sua risposta
Nei mesi successivi, nei quali dalla relazione conclusiva della commissione tecnica regionale sulle cause della rotta, arrivò anche la conferma che il cedimento dell'argine non avvenne per l'azione di animali da tana ma per l'estrema fragilità strutturale dell'argine stesso (realizzato con antico materiale da demolizione e contenente ceppaie di altrettanto antica vegetazione), tale da provocarne infiltrazioni e la rottura anche con un livello relativamente basso e comunque in sicurezza dell'acqua.
Questi due temi centrali, legati a criticità oggettive che hanno provocato la rottura dell'argine ed i ritardi nell'avvio dell'intervento di riparazione, e quindi fondamentali per programmare interventi di prevenzione rispetto a rischi simili, sono spariti dal dibattito, dagli approfondimenti e, soprattutto, dagli interventi sulla sicurezza. Da subito e nei mesi a venire.
Quanto hanno pesato più di 7 ore di fuoriuscita di acqua dall'argine rotto, soprattutto su Nonantola? Ovvero, se i lavori di riparazione della falla, pur rapidi, fossero iniziati diverse ore prima, anziché dopo più di 7 ore, è chiaro che la quantità di acqua fuoriuscita sarebbe stata di gran lunga inferiore. Con un impatto sicuramente minore su Nonantola. Un tema mai più affrontato, né sotto il profilo delle responsabilità, né della prevenzione, e che rimane ancora oggi desolatamente sul tavolo.
Sul tema della fragilità strutturale degli argini del Panaro che vennero definiti di larghezza inadeguata dalla relazione del 2018 dello studio Paoletti commissionata da Aipo, dalla relazione tecnica del 2020 post alluvione, con un inclinazione soggetta tale da essere soggetta a maggiore pressione ed erosione, siamo rimasti di fatto alle dichiarazioni di intenti e alle previsioni di spesa annunciate e ribadite anche recentemente, ma nulla più. Qualche opera di rafforzamento della base dell'argine sinistra, nella curva immediatamente successiva al punto di rottura, puntuali sfalci che danno l'immagini (almeno esterna e superficiale) di un argine ben mantenuto, ma nulla più, almeno di strutturale. Di davvero necessario per la sicurezza e per garantire che ciò non si ripeta.
Purtroppo la piena medio piccola di tre anni fa ha dimostrato che nonostante il livello del fiume fosse in sicurezza, l'argine, per la sua intrinseca fragilità, non era in condizione di reggere. E oggi nulla e nessuno può garantire più di ieri che ciò non si ripeta.
Nel video seguente, del 6 dicembre 2020, le immagini della prima ruspa che intorno alle 12.15 circa 6 ore dopo la rottura, riesce a salire sull'argine attraverso una rampa di accesso all'altezza del viadotto Tav che senza l'intervento di camion di ghiaia non avrebbe potuto sopportare né il peso delle ruspa né il successivo passaggio dei camion carichi di massi ciclopici per la chiusura della falla.
Criticità che, senza risposta e gestione prospettiva di soluzione sul fronte della prevenzione, continuano a rimanere aperte.
Le richieste di risarcimento da parte dei privati provocati dai danni dell'alluvione, furono 1800, 200 quelle presentate dalle aziende, centinaia di persone sfollate rimaste senza una casa per un totale di 100 milioni di danni. A distanza di tre anni sono ancora tanti i privati che non hanno ricevuto i rimborsi per i lavori di ricostruzione e ripristino. Ma non solo: come specificato dal sindaco Federica Nanetti alla fine del maggio scorso, gli interventi portati a termine risultavano pari al 50% delle domande ricevute e riguardavano per lo più i piccoli cantieri fino a 10 mila euro. Le difficoltà maggiori, spiegò, erano relative ai lavori più grandi, soprattutto a causa delle difficoltà di accesso al credito di molte famiglie che avevano perso tutto nell’alluvione. Numerosi i nuclei che pur avendo diritto al rimborso, faticavano a fare valere il proprio diritto nei confronti delle banche. E oggi, in questa congiuntura, i problemi, non ancora risolti, rischiano di rimanere tali ancora a lungo. Come se l'alluvione di Nonantola fosse per l'essere limitata a Nonantola e solo ad una parte di Modena (Fossalta), fosse una alluvione di serie B.
Gi.Ga.