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Venti anni fa moriva Marco Biagi: abbiamo una scorta in cielo, sei tu

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A ricordare il profilo umano della vittima dell'orrore ideologico delle Br è don Federico Pigoni, parroco di Formigine


Venti anni fa moriva Marco Biagi: abbiamo una scorta in cielo, sei tu
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Sono passati 20 anni da quando il docente Unimore e giuslavorista Marco Biagi venne barbaramente ucciso dai terroristi appartenenti alle nuove brigate rosse. Era il 19 marzo 2002, l'anno successivo alla pubblicazione del suo 'Libro Bianco sul mercato del lavoro', uno studio innovativo che forniva un nuovo approccio al tema dei diritti del lavoro, ma all'interno di un mercato che stava già subendo trasformazioni epocali e che necessitava di nuovi modelli anche nelle relazioni industriali.
A ricordare il profilo umano della vittima dell'orrore ideologico delle Br è don Federico Pigoni, parroco di Formigine. Una testimonianza importante, quella di don Pigoni, che riportiamo integralmente.

Ho conosciuto per un brevissimo tratto di strada Marco Biagi, per noi ex studenti di Economia e Commercio di Modena, il prof Biagi, che già allora guardavamo con una certa reverenza, sapendo la sua importante collaborazione con la commissione europea.

Per questo motivo mi sento inadeguato a tracciare il profilo di una persona che rappresenta un grande testimone delle virtù del coraggio e di temperanza; coraggio e temperanza nel fare, del proprio lavoro, della propria professione un dono totale di sé, rischiando tutto della propria vita, pur di cercare di realizzare un sogno per i giovani e per le loro attese lavorative, sapendo che questo impegno, si sarebbe prestato a critiche, a opposizioni pervicaci, addirittura a interpretazioni e letture antitetiche a ciò che si voleva perseguire.

Dico qualcosa di me e della ragione per la quale mi sento legato profondamente a Marco Biagi e alla sua famiglia. Nonostante il breve tratto di strada compiuto vicino al prof Biagi, debbo dire che la sua vita e la sua morte hanno inciso non poco sulla mia vocazione.

Sono sacerdote dal 2003 e prima di divenire parroco di Formigine sono stato Rettore del Seminario di Modena-Nonantola. Ancor prima dell’incarico del Seminario fui chiamato dal carissimo Vescovo Benito Cocchi a seguire la pastorale giovanile della nostra diocesi, unitamente alla guida della mitica Città dei Ragazzi, l’oratorio cittadino, presso il quale vi è un bellissimo centro professionale per i ragazzi più in difficoltà.

Sono entrato in seminario da adulto, a 27 anni, nel 1997 dopo la laurea in Economia e Commercio nel dicembre del 1993. Conobbi il Professore in particolare nella circostanza della discussione della tesi presso la commissione giuridica-aziendale, da lui presieduta. Il relatore, mi consigliò di consegnare la copia della tesi al presidente di commissione. In quella occasione intuii le qualità del prof Marco Biagi, la sua attenzione per i giovani e il desiderio che ci appassionassimo senza riserve, con tutto le energie possibili all’impegno che avremmo assunto nel futuro… Saranno state parole di circostanza, dette a tanti suoi studenti, ma riemergono di fatto continuamente e mi fanno venire in mente la veemenza che ha l’ultima volata di gruppo in una corsa ciclistica: anche se apparentemente non hai vinto, la forza degli altri, di chi ti vuole bene, del Signore, ti fa tagliare il traguardo come vincitore assieme ad altri vincitori!

Fui molto contento della laurea: mi permise di entrare nel mondo del lavoro e, dopo una breve esperienza di lavoro e di praticantato, iniziare ad esercitare la professione di dottore commercialista. Ma presto capii che il Signore mi chiamava per altra strada. Così a 27 anni lasciai tutto ed entrai in seminario a Modena.

Il 19 marzo del 2002, festa di San Giuseppe, dopo cena in seminario, ascoltammo attoniti la notizia dell’omicidio del prof Biagi. Rimanemmo molto turbati: che male ha mai fatto questa persona così appassionata del proprio lavoro tanto da viverlo come una vocazione? Perché un prezzo così ingiusto per un giuslavorista che più volte ci ha richiamati a far di tutto per aiutare le giovani generazioni a inserirsi nel faticoso mercato del lavoro? Perché un papà, nel giorno della sua festa, deve venire sottratto a sua moglie e ai suoi figli per il suo lavoro? Dove viene riscattato, questo sangue ingiustamente sparso?

Certamente questo fatto drammatico mi convinse ad approfondire il tema del rapporto tra lavoro ed escatologia (ossia “le cose ultime”, ciò che rimane per sempre di quello che abbiamo vissuto) che diventerà argomento della tesi di baccalaureato. Ancor più convinto lo fui, quando il Vescovo mi chiese di inviare una lettera di cordoglio alla moglie Marina, allegando la foto scattata il giorno della Laurea. Dopo qualche tempo ricevetti con grande sorpresa la sua telefonata in seminario di ringraziamento e, da quel momento per me, il 19 marzo è giorno dedicato alla celebrazione della vita di un Giusto, unito a San Giuseppe, e non più all’anniversario di una morte.

In questi anni (non tanti) di ministero ho avuto la grande gioia di poter incontrare tanti giovani e ragazzi, non solo i frequentanti le parrocchie, ma anche studenti del centro di formazione professionale della Città dei Ragazzi, stranieri che frequentavano l’oratorio, i seminaristi oggi, per i quali mi è stato di grande aiuto l’esempio di vita di Marco Biagi, la sua acutezza intellettuale e il suo impegno per favorire l’accesso lavorativo dei giovani più svantaggiati.

Memoria ecclesiale

In occasione preparazione della mia tesi di baccalaureato sulla pastorale del lavoro, nell’estate del 2002, trovai un documento della Chiesa Italiana molto prezioso: era il verbale integrale dell’incontro che avvenne a Roma il 25 gennaio del 2002, poco tempo prima dell’efferato omicidio, tra la consulta dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Chiesa Italiana, guidato da Monsignor Giancarlo Bregantini (oggi vescovo di Campobasso) e il prof Biagi. L’occasione fu il confronto con diversi delegati italiani, esperti di pastorale del lavoro sul Libro Bianco sul Lavoro ( presentato all’inizio di ottobre del 2001). Per Marco probabilmente costituiva un momento molto importante del suo lavoro, ben comprendendo quanto l’interlocutore che aveva davanti, pur mancando di conoscenze scientifiche specifiche del giuslavorismo e non essendo un interlocutore istituzionale ordinario, era un osservatorio molto attento e significativo, per lo più scevro da pregiudizi di massima sul mondo dei lavoratori e della realtà sociale.

Il professore introdusse il dibattito esordendo in un modo molto originale: esplicitò la propria consapevolezza di tutti i rilievi critici pubblicati in quei mesi contro il Libro Bianco, comparandoli con i presupposti di partenza, le ragioni della redazione del testo: il basso tasso (strutturale) di occupazione in Italia; le forti difficoltà di conciliazione tra i tempi di vita della famiglia e del lavoro (qualità del lavorare, prima che del lavoro); la rigidità del meccanismo regolativo del mercato del lavoro rispetto al resto dell’Unione Europea; La disparità (lo scarto) di accelerazione tra riorganizzazione e dislocazione delle imprese rispetto all’adeguamento degli strumenti in mano alle organizzazioni sindacali per promuovere il lavoro in loco (“flessibilità sostenibile”) ; la necessità di individuare nuovi profili contrattuali a tutela delle nuove forme di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa per fare emergere il tanto lavoro nero “annegato” nel mare della illegalità (ad esempio il lavoro interinale, ma dentro un quadro normativo con un minino comune denominatore, un nocciolo duro di leggi di tutela, quale doveva essere lo statuto dei lavori).

I rilievi dei delegati di pastorale misero in luce una serie di timori legati ad una logica di progressivo sgretolamento delle sicurezze per il lavoratore, qualora la riforma del mercato del lavoro fosse lasciata a briglie sciolte rispetto alle pervicaci dinamiche della committenza del capitalismo finanziario: il ruolo della concertazione sindacale; l’efficacia e la forza dei meccanismi regolativi a tutela dei lavoratori; il rapporto pubblico e privato dei centri per l’impiego; la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali di una impresa; l’argine alle derive della flessibilità in uscita; le garanzie della formazione permanente per i lavoratori; le forme di arbitrato per le cause di ingiusto licenziamento.

Marco Biagi, nelle repliche, raccolse con molta attenzione queste preoccupazioni: riprendo brevemente alcuni suoi passaggi significativi : “La questione è come si tutelano le persone: perché se debbo ammettere che la tutela o l’iper tutela di qualcuno si continui a tradurre nella sottotutela o abbandono di tanti altri allora la mia etica mi impone di occuparmi di tutti! Dico che governo e parti sociali fanno benissimo ad approfondire e discutere, concordare e concertare ma poi si deve andare in Parlamento! Non solo perché questo è il luogo deputato a decidere ma perché altrimenti si blocca il processo decisionale, come già abbiamo constatato in passato!”. Il professore mostra anche la sua capacità di autocritica: “Riconosco anche due difetti del libro bianco per cui vi chiedo ammenda: occorrerebbe una attenzione maggiore ai disabili e alla formazione permanente. Occorre intervenire con strumenti nuovi, avere il coraggio, lo dico con franchezza, anche della impopolarità pur di realizzare forme di tutela del lavoratore più ampie, proprie di un mix di flessibilità e formazione”.

Insomma sentiamo tutta la attualità di quel confronto serrato ma costruttivo, e leggiamo tutto il suo desiderio di giocarsi completamente, anche a rischio della vita, pur di avviare, in modo trasparente e coraggioso, un cambiamento che avesse al centro la persona e la dignità del proprio lavoro. Fu un incontro molto proficuo, come emerge dal verbale, sia per la Chiesa che per il Professore, tanto che ci si promise un successivo appuntamento, che non si è più potuto celebrare. Purtroppo è amaro constatare come, dopo qualche giorno su un editoriale di un quotidiano nazionale, venne completamente alterata la sostanza di quel incontro, interpretandolo come un momento in cui anche la Chiesa si schierava contro il Libro Bianco e il suo redattore! Ci dobbiamo chiedere quanto abbiamo contribuito anche noi a intensificare il clima di tensione che si respirava in quei mesi.

Una prospettiva attuale del contributo di Marco Biagi

A distanza di 20 anni cosa rimane del contributo del prof Biagi? Quale testimone ci passa? Credo siano soprattutto 3 i consigli che raccogliamo dal suo metodo di lavoro e dalla qualità del suo impegno:
1) Il metodo di lavoro comparativistico, la necessità di un confronto continuo con modelli di politiche del lavoro e sistemi normativi presenti in altri paesi, soprattutto all’interno Unione Europea. Cercare il confronto più ampio possibile, credere nel lavoro di squadra, raccogliere i migliori assetti di riforma presenti, non smettere di confrontarsi e condividere prassi di azione con paesi vicini e lontani.
2) Pur di conseguire l’obiettivo di dare garanzie e speranze durature a chi non ha alcuna tutela nell’impiego avere il coraggio di scardinare le rendite di posizione occupazionale. Scrive Papa Francesco: “Questa incapacità di pensare seriamente alle future generazioni è legata alla nostra incapacità di ampliare l’orizzonte delle nostre preoccupazioni e l’incapacità di pensare a quanti rimangono esclusi dallo sviluppo” ( “Laudato Si” n. 162).
3) Il consiglio più importante che ci lascia: il criterio da assumere per il nostro impegno lavorativo, civile, politico, religioso e spirituale sia quello “escatologico”, ossia di ciò che rimane nel tempo per chi verrà, per le generazioni future, per chi ci succederà; per vincere la tentazione continua di usare, come criterio delle nostre azioni e scelte quello dell’ interesse personale, del successo, o ancor di più del consenso, della risposta sociale immediata, Marco ci insegna a impegnarsi, avendo come metro la vita eterna per chi è credente e il bene delle future generazioni per chi comunque crede nell’uomo, ciò che è bene permanente per gli altri, aldilà delle valutazioni di breve termine. E’ ciò che alcuni filosofi definivano il “Principio speranza” ( Ernst Bloch negli anni ‘50). Per non farsi scoraggiare nemmeno dalla minaccia della morte, per affrontare fino in fondo il sacrificio di tutti i propri doni e tesori che una persona raccoglie nel cammino della vita, non bastano al cuore dell’uomo alcuni fiori riposti durante l’anniversario, per dare colore ad una tomba sigillata! Occorre la fiducia che tutto quello che si è fatto, tutte le energie profuse, tutte le scelte coraggiose compiute esclusivamente per realizzare un bene più grande, il miglioramento di un sistema di vita di chi verrà dopo di noi, non saranno vane, non saranno un semplice ricordo da commemorare tutti gli anni, ma le ritroveremo purificate e trasfigurate assieme alle persone che ci hanno preceduto e ci hanno seguito in questo pellegrinaggio terreno.

Se ti è stata preclusa una “scorta” caro Marco, noi invece non possiamo dire altrettanto: abbiamo una scorta in cielo che sei tu, assieme a tanti tuoi colleghi e tanti lavoratori tenaci: scorta come riserva, come deposito di riflessione, di progettualità e propositività di un metodi di lavoro permanente di riforma che sappia coraggiosamente far scelte regolative per favorire la occupabilità di chi è condannato al di là della soglia di ingresso del mondo lavorativo; scorta come accompagnamento, custodia perché sappiamo che non hai smesso di accompagnare la tua famiglia, gli amici e i colleghi di lavoro nella difficile sfida del garantire un futuro di speranza

Conclusione: una preghiera

Vorrei concludere con una poesia di Marie-Angè, tratta da un libro che mi ha regalato Marina; si intitola “Il Testimone”. Fu scritta dopo l’omicidio di un barbone; ci invita a non voltarci dall’altra parte per la perdita della vita di nessuno, di essere responsabili delle vite degli altri, affinchè anche Caino ritrovi la sua vita, che ha perduto in Abele.
“Signore ho paura, paura di morire, paura di uccidere, paura di avere ucciso.
Dentro di me la paura, attorno a me la paura, paura fatta di nebbia che avvolge e separa.
In branco uniti invece su di uno sono piombati. L’han menato, l’hanno ucciso, nel nulla sono scomparsi, quel nulla fatto di noi, vivi forse già morti, privi di gesto, di voce, sguardo alla deriva.
Loro che erano attorno non hanno visto niente e niente ho visto io che per fortuna non c’ero.
Ma tu dici che c’ero, tu vuoi che ci sia, dici che ci sarò, con te, tutte le volte.
Dici che le radici di sì grande violenza anche da me traggono il succo che la nutre.
Dici che non bastava badare ai fatti miei coprendo le mie magagne con un pizzico di bene.
Dici che ci sono anche la giustizia, la verità, e che tu mi volevi a fianco degli oppressi.
Mi dici di far presto ad amarli di cuore, di fatto, senno, da quell’abisso, non ci cava più nessuno”.
Grazie Marco

Don Federico Pigoni

Redazione Pressa
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