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Si deve stare in casa, guardiamo il mondo dai social, i tanto vituperati social che però sono rimasti la nostra unica finestra sul cortile. A meno di non incappare in un bug, i contatti sono più sicuri lì. Un po' come nella canzone 2030 degli Articolo 31, quando si riferiva che in quell'anno (ohi, ne mancan dieci!) il sesso virtuale sarebbe stato più salubre.
Sono tra quelli che deve andare a lavorare, nemmeno posso mettermi in malattia o prendere permessi perché ho la partita Iva. Mascherina, guanti, cartello d'ordinanza all'ingresso e normale tran tran, con un'aria che ogni minuto si fa più pesante. Per dovere di cronaca svariati pannelli del broswer di internet aperti sui siti di informazione. E sui social. E scopri che nel tuo Appennino ci si sta organizzando per fronteggiare la crisi alle porte.
Tutti in trincea, ma con un inaspettato senso di responsabilità, per lo meno da parte di quelli che le maniche se le devono comunque rimboccare. Senti di bariste che vivono male la solitudine forzata dietro al bancone, alcuni gestori chiudono per precauzione, fregandosene delle certezze provvisorie di Giuseppi, che oramai non viene più creduto nemmeno dal suo specchio. Sacrifici calcolati probabilmente, o forse no ma la salute, dicono, viene prima di servire un caffè. E poi, se la clientela non rispetta i parametri imposti, chiudo prima che mi impongano di farlo.
I negozianti si organizzano sui gruppi Facebook dei vari “sei del tal paese se...” e partono le condivisioni di numeri di telefono per organizzare la spesa delle persone e la relativa consegna. Il che rende quasi poetica l'immagine di questa emergenza, mostra la voglia di farcela, di dover fare un sacrificio necessario anche laddove la paura del contagio e non solo quella, ti assale.
Perché ora più che mai, con le ordinanze e i decreti che creano più incertezza che rassicurazione, con le notizie che arrivano dall'estero che ti fanno capire che certi video satirici non avevano poi tanta ragion d'essere e con una situazione economica che già prima non era rosea (ma anche qui emerge un inaspettato ottimismo, anche se sa tanto di “vedremo poi quando saremo là”), scoprire che c'è voglia di guardare oltre, e di voler vedere una luce in fondo al tunnel, lascia ben sperare per questo paese, che è il solito drammatico, tragicomico paese che va avanti nonostante chi lo guidi, che casca sempre in piedi, e che ogni volta stupisce il mondo che lo osserva. Quando tutto questo sarà finito, ci guarderemo indietro e, al netto degli sconsiderati, qualcuno potrà dirsi orgoglioso di quanto fatto.
Stefano Bonacorsi
Nella foto l'insegna di un bar di Serramazzoni