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Ma chi è quel Massimo Guerrini che sostiene la non convenienza del riciclaggio dei rifiuti?
Il suo articolo mi trova d'accordo solamente nel chiamare i rifiuti MPC (materiali post consumo), che io chiamerei in alternativa RESTI. Come si fa a sostenere la non convenienza di riutilizzare materiali la cui quantità sulla terra è limitata? Finchè si parla di carta, ottenuta dagli alberi, il discorso può avere un senso, ma per altri materiali assolutamente no.
La plastica deriva soprattutto dal petrolio, presente nel sottosuolo in quantità finite. Il suo riciclaggio è assolutamente indicato per non arrivare ad esaurire una fonte limitata di materia prima. Produrre semilavorati con alluminio secondario (riciclato) costa dieci volte meno che utilizzare alluminio primario ricavato dalla bauxite, sua principale fonte, anch'essa presente nel sottosuolo in quantità finite.
Lo stesso discorso vale per il riutilizzo del vetro, dei semilavorati, di molti oggetti finiti e riutilizzabili.
In generale, il riutilizzo di materie prime secondarie e più economico che partire da quelle primarie. Ma questa è solo la prima parte della problematica sui MPC.
Incenerire non vuole dire “fare scomparire“, ma fare aumentare di peso ciò che si brucia, avere scorie difficilmente gestibili ed in quantità di circa il 25% dei materiali immessi nell'inceneritore. E' bello poter pensare di produrre energia elettrica e teleriscaldamento utilizzando il calore prodotto da un inceneritore di rifiuti.
Ma proprio qui sta, a mio parere, il cuore amaro del problema. I vapori che escono dal camino di un inceneritore contengono sostanze nocive che non possono essere bloccate in modo soddisfacente, anche con le migliori tecnologie oggi disponibili. Diossine, IPA (idrocarburi policiclici aromatici) benzene e derivati sono riconosciuti come cancerogeni dalla medicina ufficiale.
Alcune di queste sostanze, anche se emesse in quantità minime, si accumulano negli organismi e nel terreno con effetti devastanti in prospettiva e già evidenziati da fatti concreti ed indagini epidemiologiche, pur limitate. Bruciare, cioè fare a brandelli delle sostanze per mezzo del calore, è, a mio parere , la più grezza e controproducente delle soluzioni per trattare i resti di ciò che utilizziamo. Una raccolta differenziata spinta, ben organizzata e già oggi largamente sperimentata , è la condizione virtuosa sia dal punto di vista economico che sanitario.
La prassi del “continuiamo a consumare e bruciamo ciò che avanza“ è , a mio parere, una scelta scellerata, miope ed autolesionista. Chi ne enfatizza la pratica nei Paesi Nordici non tiene conto della limitatezza delle popolazioni e soprattutto la diversa situazione meteo-climatica rispetto alla nostra in generale ed alla Pianura Padana in particolare.
Pietro Bertolasi