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Caro Direttore,
ho letto con attenzione ognuno dei suoi innumerevoli pezzi sulla situazione della politica locale. Con il sistema di potere che fa perno sul PD che la fa da padrone da quasi 80 anni. E con alcuni esponenti del centrodestra che vivono di (di? Per? Con? Scelga lei) quello che avanza: qualche posto da capogruppo che conta, da consigliere regionale, da parlamentare, i migliori addirittura al CSM. Pochi esponenti ben selezionati, quasi sempre gli stessi. Tranne qualche outsider che poi resta isolata. Ma che sul locale non esprimono mai niente e non vincono mai niente.
Ma il punto, a livello locale, è la materia prima: i vassalli, la manovalanza: e la differenza fondamentale fra destra e sinistra è che a sinistra di manovalanza disposta a tutto se ne trova sempre in abbondanza. E fedele nei secoli dei secoli.
È il popolo del gnocco fritto e del falò. Quello che permette alla sinistra alle comunali di comporre decine di liste, per centinaia di candidati, per decine di migliaia di euro raccolti, per qualche manciata di posti disponibili e in stragrande maggioranza già assegnati – peraltro fuori dal giro dei candidati. Quello degli eterni delusi, sempre politicamente parlando. Quelli che nell’immediatezza della sconfitta hanno talmente tante rivelazioni sconcertanti da fare, fra intrallazzi di soldi e potere e annesse frammistioni di cuore, che avremmo da scriverci decine di romanzi, noi che ci crediamo dei Tomasi di Lampedusa.
Quelli che però di preferenze ne hanno: perché anche a destra liste se ne fanno, ma a voti visti dopo i primi tre in graduatoria ci sono solo dei gran zero. E che soprattutto - e qui è la fondamentale differenza con la destra - non portano eterno rancore e restano fedeli anche dopo le delusioni.
Tempo un mese dalle elezioni e dimenticano tutto, ma proprio tutto: smettono le polemiche, finiscono le confessioni inconfessabili e tutti a spingere per il partitone esattamente come prima. Anche a destra dimenticano, beninteso: ma a destra, tolta qualche sparuta manciata di immarcescibili irriducibili, gli altri dimenticano proprio la politica e spariscono da ogni radar. Mentre a sinistra ogni post di Bonaccini e ogni Festa de l’Unità sono l’occasione giusta per rimettersi in mostra, in ballo, in gioco.
Perché, Caro Direttore, il succo è tutto qui: la sinistra locale di posti da offrire non ne ha più tantissimi ma ne ha comunque abbastanza: che da promettere o quantomeno far annusare bastano e avanzano per tutti. E quindi per ricomporre ogni questione basta un incontro chiarificatore a nomine finite. Un giro pizza per spiegare che quello che è stato è stato ma che chi parla ancora è fuori per sempre. Con ignominia. Mentre chi rientra nei ranghi la prossima volta sarà davvero davvero il primo della nuova lista. E tutti ci credono e rientrano, come tanti avventisti del settimo giorno – è la natura umana. Così si chiude ogni polemica e ogni periglioso canale di comunicazione.
Fino all’elezione successiva, s’intende. In quel sempiterno Monopoly dove qualcuno si ferma al Parco della Vittoria e tutti gli altri ricominciano da Vicolo Corto, contenti dei loro 20 euro.
Roberto Benatti
Redazione Pressa
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