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Caro direttore,
Ci consenta di esordire con una citazione: 'La ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro' ('I Promessi Sposi', cap. I).
La vicenda San Pietro ci sembra una perfetta esemplificazione della celebre frase manzoniana.
Se demonizzassimo solo la casa generalizia bergamasca dell'ordine benedettino, che non ha inteso trovare sostituti a seguito della dipartita di due monaci e la presenza di un solo presbitero (l'altro è semplicemente diacono), saremmo ingiusti, così come lo saremmo se ce la prendessimo solo con la Curia arcivescovile, che non riesce a fare la differenza tra la gestione di un monastero e quella di una canonica.
In entrambi i casi si è proceduto con pressappochismo e allo stesso tempo con eccessivo allarmismo ('mancano sacerdoti').
Data la presenza di un buon numero di benedettini in altre abbazie e considerando che talune di esse hanno visto un ritorno dei monaci dopo un periodo di assenza, non si vede perché una tale pensata non possa essere fatta per il monastero modenese.
Non possiamo nascondere lo stupore verso la freddezza con la quale si è trattata la questione in ambito religioso: della fornita spezieria e di chi vi lavorava ci si è preoccupati molto poco, focalizzandosi semplicemente su come gestire le giacenze di magazzino, mentre nei confronti del valore identitario (spirituale, culturale, storico) del monastero per un'intera provincia si è preferito fare spallucce. Atteggiamento, questo, a cui non sono sfuggite né le istituzioni civili, prese da programmi più laici, né i cittadini, che non hanno dimostrato compattezza e determinazione nel chiedere la permanenza dei benedettini in monastero.
San Benedetto visse in una delle epoche più tribolate della nostra penisola, quella delle guerre gotiche tra Goti e Bizantini. Tra carestie, massacri e lotte di religione (i barbari, ariani, non accettavano il cattolicesimo romano), l'umile Benedetto, che dovette anche combattere contro l'invidia di un prete di Subiaco, fondò ben tredici monasteri. Questo, da solo, basta a sottolineare l'ottusità e l'infondatezza dell'atteggiamento disfattista che si sta avendo nei confronti dell'affare modenese.
Non ci si ferma davanti alle prime difficoltà: non è cristiano. E lo diciamo a tutti: a noi fedeli, all'intero universo consacrato della provincia di Modena, agli amministratori locali.
Con un atteggiamento del genere si porge il fianco al tanto vituperato 'pensiero unico' che sta lastricando una strada molto ampia all'apostasia. Sarà poi inutile lamentarsi tra le quattro mura.
Con i più cordiali saluti
Augusto Ruggi
Annamaria De Bellis
Redazione Pressa
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