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La recente decisione del governo di far pagare alcuni centesimi i sacchetti di plastica biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40 per cento, ha sollevato un mare di polemiche; per fortuna, non ci sono state manifestazione e scontri, come la gravità del problema avrebbe potuto far presagire. Comunque, essendone obbligatorio l’uso, non si potrà verificare una riduzione così come era accaduto per le sportine (circa del 50%) che, da quando sono diventate a pagamento, in molti casi, sono state sostituite da altre riutilizzabili. Ma cerchiamo di approfondire il tema.
BOTTIGLIE E SACCHETTI: UN’INVASIONE IN TUTTO IL MONDO
Secondo l’ONU la produzione di plastica a livello globale, nel 2013-2014, ha superato i 300 milioni di tonnellate di cui almeno 8 milioni sono finiti, ogni anno, negli oceani. Più di un milione ogni minuto, 20mila al secondo, sono le bottiglie di plastica acquistate nel mondo.
Ma c’è chi le riutilizza, come in Germania.
Forse 1.000 miliardi nel mondo, all’anno, sono i sacchetti di plastica, di cui 100 miliardi negli Stati Uniti e altrettanti in Europa; nel nostro continente, si va dai 20 pro capite, all’anno in Irlanda, ai 540 in Estonia
I SACCHETTI E L’AMBIENTE
Un sacchetto di plastica dura dai 20 ai 500 anni e più; i raggi del sole e il calore lo degradano in frammenti via via sempre più minuscoli; questi frammenti entrano poi nella catena alimentare a partire dagli organismi più piccoli. I sacchetti di plastica sono leggeri e, quindi, anche con poco vento vengono dispersi nell'ambiente.
Non correttamente smaltiti finiscono anche nei fiumi, laghi e mari e quindi nei pesci che noi mangiamo.
Il problema del loro smaltimento non è solo dei paesi più industrializzati; anche gli altri paesi ne sono soffocati; molti di essi, come Bangladesh, Kenia, Ruanda, Tunisia, Marocco, Uganda, Tanzania, Somalia, Botswana, Etiopia, Mauritania, Eritrea li hanno vietati con controlli e pene più o meno severi, fino alla galera. Una organizzazione no profit di Washington, la ORB media, ha condotto una ricerca, con alcuni limiti per metodo di rilevazione e numero di campioni, sulle acque potabili di diversi paesi del mondo. I risultati, seppur parziali, dimostrano che nelle acque dei nostri acquedotti, ci sono piccoli frammenti di plastica e questo accade in Europa, come i America, come in Africa ed Asia, con una media “mondiale” superiore all’ 80%.
IL BIODEGRADABILE E’ LA SOLUZIONE?
Le plastiche biodegradabili, che vengono utilizzate per borse della spesa, bottiglie d’acqua e contenitori per alimenti, sono progettate per essere meno durevoli e in grado di degradarsi più rapidamente nell’ambiente. Esse rappresentano quindi un tentativo frutto di buone intenzioni, ma insufficiente.
E I SACCHETTI IN BIOPLASTICA?
I sacchetti in bioplastica, differiscono dai precedenti perché sono completamente di origine vegetale e non derivati dal petrolio. Per produrli servirebbero migliaia di ettari di terreno agricolo sottratto, quindi, alle tradizionali culture e milioni di metri cubi di acqua. E’ una soluzione? Non sembra.
LA PLASTICA: UNA MERAVIGLIOSA INVENZIONE O UNA GRANDE MALEDIZIONE?
E allora, utilizziamo la plastica, che è stata una formidabile invenzione, per le cose che servono veramente e limitiamola per le altre. Da una parte, pensiamo al suo buon uso nel biomedicale e dall’altra diamo un’occhiata ai bordi delle strade ridotti a discariche di sacchetti e bottigliette. E quindi, la ricetta è, prima di tutto, di migliorarne la raccolta e la gestione dei rifiuti. Ma la vera sfida, almeno per sacchetti e, in parte per le bottiglie, è smettere di usarli e, quindi, anche di produrli, bio o non bio che siano.
Da questo punto di vista, la recente norma è del tutto carente in quanto non va nel cuore del problema che è, ripetiamo, la riduzione se non l’eliminazione; il pagamento di qualche centesimo ci rende sì più consapevoli di quello che stiamo facendo, ma poi non ci consente di fare altrimenti.
Franco Fondriest