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Venticinque anni fa, il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino veniva ucciso dalla Mafia insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove viveva la madre. Una Fiat 126 piena di tritolo esplose uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Un mese prima di quella autobomba, un mese dopo la strage di Capaci dove morì Giovanni Falcone, Lamberto Sposini realizzò quella che sarebbe rimasta l'ultima intervista televisiva al giudice Borsellino.
In vista del 19 luglio pubblicheremo un ricordo al giorno del magistrato. Dopo l'ultima intervista rilasciata a Lamberto Sposini, pubblichiamo il famoso discorso di Borsellino a Palermo il 20 giugno 1992, 28 giorni dopo la morte di Giovanni Falcone. L'occasione è quella della veglia di preghiera in memoria del magistrato ucciso nella strage di Capaci.
La lotta alla mafia, il primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte, proprio perchè meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè, queste giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità.
Ricordo la felicità di Falcone, e di tutti quelli che lo affiancavamo, quando, in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse : “La gente fa il tifo per noi”.
E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice (questa affermazione l'ha fatta anche il giudice Di PIetro a Milano), significava di più, significava soprattutto che il nostro lavoro, il suo lavoro, stava anche smuovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la vera forza della mafia.
Questa stagione del “tifo per noi” sembrò durare poco perché ben presto sopravvenne quasi il fastidio, l’insofferenza al prezzo che la lotta alla mafia, doveva essere pagato dalla cittadinanza.
Insofferenza alle scorte, insofferenza alle sirene, insofferenza alle indagini, insofferenza che finì per legittimare un garantismo di ritorno, che ha finito per legittimare a sua volta provvedimenti legislativi che hanno estremamente ostacolato la lotta alla mafia: il nuovo codice di procedura penale. Adesso hanno fornmito un alibi, dolosamente spesso, colposamente ancor più spesso, di lotta alla mafia non ha voluto o non ha più voluto occuparsene.