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Proteste di una tale intesità e violenza non si vedevano in Bolivia da almeno 16 anni, nei quali il paese aveva mantenuto una stabilità politica ed economica mai vista prima. Nelle ultime tre settimane il paese però è caduto in uno stato di caos e oscurità e consegunete vuoto politico, dovuto alla rinuncie di molte cariche politiche tra cui i presidenti del senato e del governo, il vice presidente dello stato Álvaro García Linera e il presidente dello stato Evo Morales, che si trova ora in esilio in Messico. Dal giorno di questi avvenimenti, domenica 10 novembre, la situazione è degenerata in quanto si sono riscontrati molti episodi violenti e discriminatori se non razzisti, che hanno portato alla luce profonde fratture nella società Boliviana.
In alcuni di questi episodi sono stati sequestrati i familiari di deputati e ministri, e umiliati altri funzionari dello stato dai protestanti anti-governativi, come è accaduto alla sindaco di Vito, nel dipartipento di Cochabamba, la quale è stata forzata a dimettersi dopo che era stata umiliata pubblicamente con un taglio di capelli ed è stata portata per le starde della città cosparsa di pittura rossa.
É difficile poter far chiarezza sugli avvenimenti, in quanto ci sono due voci molto forti e contrastanti: una che grida al colpo di stato, mentre l’altra che festeggia la vittoria della democrazia sulle frodi elettorali. Indubbiamente ci sono stati molti indizi d’ irregolarità durante le elezioni del 20 ottobre, che insieme al malcontento dovuto alla decisione di ignorare il referendum del 2016 (che avrebbe dovuto impedire una quarta ricandidatura per Morales) ha fatto sì che molta gente, specialmente nelle città, si indignasse e salisse a protestare per rispettare il loro diritto di voto.
Dall’altra parte, però, c’è stata anche una chiara manovra di una destra organizzata che già in precedenza aveva pianificato una mobilizzazione nel caso Morales avesse vinto le elezioni (è molto possibile che ci siano state anche influenze da paesi stranieri come gli Stati Uniti).
Una delle nuovi voci di questa destra organizzata è Luis Fernando Camacho che il 10 novembre è entrato nel palazzo del governo con il tricolore Boliviano, una bibbia e una foto della Vergine in mano, dichiarando che avrebbe rimosso la Pachamama (il culto della Madre Terra secondo la cultura Andina) da quel luogo e fatto tornare Gesù Cristo. Questo ha legittimato azioni discriminatorie verso segni della cultura indigena Boliviana che erano stati riconosciuti nazionalmente dopo secoli di discriminazioni, come le whipalas (bandiere multicolore che simbolizzano la diversità e l’orgoglio plurietnico del popolo Boliviano) che sono state pubblicamente bruciate. Camacho che continua a proclamarsi il “difensore della democrazia” e che non nega di voler ristabilire l’ordine pubblico per mezzo dei militari, ha fatto uso di potenti simbolismi e strumentalizzato la religione cattolica per consolidarsi come potente attore politico sulla scena Boliviana. L’uso di questi simbolismi, gli atti di violenza e gli episodi neofascisti dovrebbero però almeno far scattare un segnale d’allarme alla coscienza internazionale e che si rendesse conto che questi non sono casi identificabili come isolati nel mondo.
Ora il futuro della Bolivia sarà da discutere nuovamente alle prossime elezione, delle quali ancora non si sa molto. In ogni caso c’è in atto una trasformazione profonda nel paese, la quale non è interamente nelle mani di leader politici, se non nella volontà e nella sovranità del popolo, che già come in passato è riuscita a ribaltare le sorti politiche del suo paese.
Claudia Carpanese