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Nessun elemento particolare sarebbe emerso dall'autopsia, eseguita dal medico legale Rosa Gaudio, sul corpo di Totò Riina, il capo dei capi della mafia siciliana morto venerdì a 87 anni all'ospedale Maggiore di Parma. Mentre si attende il nulla osta della Procura per il trasferimento della salma in Sicilia, che potrebbe arrivare domani, l'ultimo saluto a Totò Riina è stato dato a Parma da due dei suoi quattro figli, Salvo e Maria Concetta, e dalla vedova Ninetta Bagarella: è durato 30 minuti, scortato dalla Polizia. Hanno dovuto attendere la fine dell'autopsia, poi hanno reso omaggio al familiare nelle camere mortuarie dell'ospedale, dove era ricoverato da dicembre 2015, nel reparto detenuti. Non hanno voluto parlare con i giornalisti e non hanno versato lacrime in pubblico.
LA RICOSTRUZIONE DELL'ARRESTO
Vale la pena - nei giorni della morte di Riina - ricostruire nei dettagli l'arresto del Capo dei Capi. Un arresto di cui molto si è scritto, ed è stato descritto in una monumentale sentenza del tribunale di Palermo che assolse il generale Mori e De Caprio (Ultimo) dalla accusa di avere omesso la contestuale perquisizione del covo del Capo di Cosa Nostra.
Un arresto che oggi La Pressa riassume grazie alla collaborazione di uno dei protagonisti di quella operazione dei Carabinieri. Un arresto che vide la stessa Ninetta Bagarella giocare un ruolo fondamentale e che vide, soprattutto, l'efficacia dell'attività del Ros e del capitano Ultimo.

Era il15 gennaio del 1993 quando il Crimor, la squadra speciale dei Ros guidata dal capitano Ultimo (il Sergio De Caprio al centro di una recente querelle con il Pm di Modena Lucia Musti) arrestò Salvatore Riina, latitante da 24 anni, a pochi chilometri dalla sua villa in via Bernini 54 a Palermo. Il Crimor arrivò all'arresto dopo 8 mesi di indagini partite all'indomani degli omicidi del '92 di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Il capitano Sergio De Caprio, nome di battaglia Ultimo (nella foto in alto) guidava la squadra speciale e il colonello Mauro Obinu era il suo comandante diretto mentre a capo dell'intera operazione vi era il generale Mario Mori. Riina si nascondeva in una zona di Palermo sotto il controllo della famiglia capeggiata da Raffaele Ganci e così la squadra di Ultimo iniziò una serie di pedinamenti verso mafiosi legati a quella famiglia. Decisivo fu l'apporto di Salvatore Cancemi, divenuto nel 1985 capo mandamento di Porta Nuova dopo l’arresto del boss Giuseppe Calò. Peraltro Cancemi il 22 luglio 1993 decise di costituirsi offrendo ai carabinieri una serie di informazioni su Bernardo Provenzano.
Il pedinamento di uno dei figli di Raffaele Ganci, Domenico Ganci, permise al capitano Ultimo di segnalare nel proprio rapporto una delle tappe effettuate da Raffaele Ganci in sella al suo motorino. Si trattava appunto della villa di via Bernini 54. Apparentemente era solo un luogo come tanti meta di un esponente della famiglia mafiosa che controllava la zona, ma quella informazione coincise con quella arrivata ai carabinieri pochi mesi dopo. L’8 gennaio del 1993 infatti in provincia di Novara venne arrestato Balduccio Di Maggio, ex autista di Riina, l’uomo che parlò del famoso bacio tra il capo di Cosa Nostra e il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
L’esponente mafioso di San Giuseppe Jato – contro cui Cosa Nostra aveva emesso una condanna a morte - decise di collaborare dando preziosi informazioni sul nascondiglio di Riina al generale dei carabinieri Francesco Delfino, allora comandante dell’Arma in Piemonte. I carabinieri allora trasferirono Di Maggio a Palermo dove disse che i costruttori palermitani Sansone erano vicinissimi a Riina e così De Caprio immediatamente collegò questi imprenditori con una utenza telefonica a loro nome nella zona di via Bernini 54.
La zona venne sorvegliata e il 14 gennaio Di Maggio, presente durante i pedinamenti, riconobbe la moglie di Riina, Ninetta Bagarella su una auto alla cui guida vi era l'autista Vincenzo Di Marco. De Caprio diede la notizia via radio ai suoi superiori con solo due parole: ‘E’ caldo’. La mattina seguente, il 15 gennaio 2017, alle 8.05 uscì dallo stesso cancello un’auto con all’interno Salvatore Riina stesso, accompagnato da Salvatore Biondino. De Caprio e la sua squadra seguirono l’auto per circa due chilometri e, una volta distanti dalla villa, intervennero. Riina venne catturato senza opporre la minima resistenza. Ultimo chiamò il generale Mori e disse ‘preso, lo stiamo portando a casa’. Dopo mezz’ora Riina era in caserma a Palermo.
LE MINACCE A ULTIMO
Dopo quell'operazione Sergio De Caprio venne ripetutamente minacciato di morte da Cosa Nostra. E ancor oggi - per sicurezza - il suo volto è sconosciuto alla maggioranza delle persone.
Il 23 luglio 1993 lo stesso pentito Cancemi disse che in una riunione di mafia fatta poche settimane prima, Bernardo Provenzano aveva dato ordine ai capi mafia presenti di cercare, catturare, interrogare e uccidere il capitano Ultimo al fine di sapere da lui i nomi e le vere modalità che portarono all’arresto di Riina che aveva piegato Cosa Nostra. Altri collaboratori di giustizia, come Giuseppe Guglielmini uomo d’onore della famiglia di Altarello, confermarono la ‘sentenza’ di Provenzano sottolineando come lo stesso comando fosse stato esteso anche a tutti gli ex ufficiali impegnati in quella operazione.
Giuseppe Leonelli