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Tra le mille follie e ingiustizie che un'Italia vinta e rassegnata ha accettato dall'introduzione dell'orrore del certificato sanitario in poi, ve ne è una che forse più di ogni altra lascia sconcertati. Da due settimane a questa parte per i ragazzi dai 12 anni in su i cui genitori non hanno scelto per loro la vaccinazione, è vietata ogni attività sportiva. All'aperto e al chiuso. Non valgono tamponi giornalieri, non valgono certificati medici. Nulla: o vaccino (ancor oggi non obbligatorio per legge, tantomeno per i minorenni) o fuori. Fuori da un gruppo che si ritrova magari all'aperto, lo stesso gruppo con cui gli stessi bimbi condividono lo spazio a scuola. Al chiuso.
Addio a calcio, basket, pallavolo, tennis, pattinaggio, danza... Questi ragazzi, senza alcuna colpa, si ritrovano esclusi dalla vita sociale e da quello sport da sempre giustamente incensato come momento di crescita, di formazione e di salute.
Nessun altro Paese ci risulta abbia introdotto una norma talmente inumana e irrazionale. L'Italia sì. L'Italia del premier osannato come il cavaliere bianco in grado di evitare il default, lo ha fatto.
In un silenzio generale, con le voci dei genitori marginalizzate e ridicolizzate, è passata anche questa.
E le società sportive, quasi tutte, hanno accettato supinamente. Allenatori e dirigenti sportivi, hanno abbandonato le vesti dei messaggeri di integrazione e di umanità e hanno comunicato in modo freddo ai ragazzi che così stanno le cose. E che allo scoccare del 12esimo anno di età per chi non è vaccinato, per chi non ha il super green pass, l'avventura sportiva finisce definitivamente. Rapporti di conoscenza, di reciproco rispetto che duravano da anni, interrotti così, coi bimbi umiliati e messi all'angolo.
Incapaci di comprendere, vittime di una cattiveria sociale che inevitabilmente si porteranno dietro per anni e che genererà sfiducia nelle istituzioni e nelle regole della convivenza sociale.
Magari anche con lo disapprovazione malcelata nei confronti dei genitori, rei di una scelta socialmente inappropriata, ma che loro hanno preso in coscienza e con sofferenza. E che pesa sulla intera famiglia.
Ecco, anche agli occhi dei fautori della vaccinazione obbligatoria, anche dei più integralisti filo-governativi, è difficile comprendere come tutto questo possa essere visto come cosa buona e giusta. Allora risuonano come un coro lontano quegli slogan di piazza, magari ingenui e provocatori, un tempo apparentemente complottisti. 'Giù le mani dai bambini' - gridavano le piazze etichettate come 'no vax'. Ecco, le mani dai bambini non sono state abbassate. E questo, al di là della profonda ingiustizia di chi ha perso il lavoro, al di là delle offese e della costruzione di un nemico, è forse lo specchio più tragico del Male, un Male che, come spesso avviene, viene spacciato come 'bene collettivo'.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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