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Per chi ancora stentasse a capirlo, l’esplosione della diga di Kakhovka sul Dnepr non è solo l’avvenimento più grave fin qui accaduto nel corso della guerra-russo-ucraina, ma rappresenta soprattutto un preoccupante campanello d’allarme sui futuri e incontrollabili sviluppi del conflitto
Chi ha fatto saltare la barriera di cemento sul fiume era consapevole dei danni ambientali ed economici che l’inondazione avrebbe provocato su tutto il territorio del basso corso del fiume e sulle regioni costiere del Mar Nero. Paradossalmente, a fronte di questo enorme e indelebile rovina, gli effetti immediati sul conflitto sono piuttosto dubbi e altrettanto discutibili i vantaggi sul piano militare che russi e ucraini possono ricavarne.
Perché allora una delle due parti, tertium non datur, ha voluto dare corso a questo atto di deliberato terrorismo e quali possono essere i prevedibili scopi che si prefigge?
Al momento, non esiste un solo indizio, né passato né presente, che possa ricondurre l’attentato alla responsabilità dei russi: innanzitutto la diga è sotto il loro controllo e quindi si tratterebbe innanzitutto di un’azione di auto-sabotaggio, poi l’inondazione ha sommerso la loro prima linea di difesa e i campi minati che avevano predisposto obbligandoli a rischierarsi più in profondità, inoltre il deflusso dell’acqua provocherà problemi di rifornimento idrico alla Crimea e, infine, potrebbe danneggiare i sistemi di raffreddamento alla centrale nucleare di Energodar (Zaporozhye). C’è poi un altro motivo che rende molto inverosimile la loro responsabilità: grazie a un sistema mediatico completamente al guinzaglio della NATO, Kiev può permettersi qualsiasi nefandezza sapendo di godere della completa immunità politica e morale; al contrario, Mosca viene spesso chiamata a rispondere anche di crimini che non ha commesso.
Non sarebbe quindi ragionevole un simile regalo propagandistico all’avversario, tanto più senza ricavarne alcun vantaggio sul piano militare.
Stavolta, dopo l’immediato e scontato crucifige di prammatica per il “criminale attentato” compiuto dai russi, i media si sono un po' corretti, scrivendo di “accuse incrociate” sulla distruzione della diga. Anche la Meloni ha rilasciato una dichiarazione cauta e sibillina in cui esprime “grande vicinanza alle popolazioni ucraine colpite dal criminale danneggiamento della diga di Nova Kakhovka. L’Italia è con voi. Non ci rassegneremo mai a questo cinismo e a questo orrore”. Tradotto dal politichese: non sappiamo chi è il responsabile dell’attentato, ma anche se fossero stati gli ucraini, la colpa è da addebitare comunque ai russi.
La cautela di politici e media sulla responsabilità dell’attentato discende dai numerosi indizi che attribuiscono agli ucraini l’intenzione di colpire l’impianto di Kakhovka. La diga era già stata oggetto di bombardamenti da parte loro quando i soldati di Mosca occupavano ambedue le rive del fiume e utilizzavano il viadotto sulla cima del manufatto per rifornire le truppe attestate sulla riva destra. I timori che gli ucraini facessero saltare la diga furono alla base del ritiro dei russi, improvviso ma ordinato e senza combattimenti, dalla cosiddetta “terrazza di Kherson” il 9 novembre 2022. La distruzione della diga e la successiva inondazione avrebbero infatti reso impossibile il sostegno logistico del contingente russo al di là del Dnepr, composto allora da alcune decine di migliaia di soldati.
Al tempo, l’ambasciatore del Cremlino all’ONU Vasily Nebenzya aveva ufficialmente denunciato i propositi ucraini di colpire la barriera di Kakhovka, e che avessero davvero intenzione di farlo è stato confermato il 29 dicembre 2022 al Washington Post dal generale Andriy Kovalchuk, comandante del fronte sud. Allo scopo di provocare l’innalzamento del livello del fiume, furono sparati tre proiettili di Himars sulle paratie in metallo con risultati soddisfacenti, anche se poi il ritiro russo rese inutile l’esecuzione del piano.
Si potrebbe dunque ipotizzare che il sabotaggio di alcuni giorni fa sia stata l’attuazione al progetto del generale Kovalchuck per alzare il livello del fiume sulla riva sinistra occupata dai russi, e che poi l’intero impianto sia completamente collassato a causa dei precedenti danneggiamenti, con ciò annullando in buona parte i vantaggi militari che si proponevano gli ucraini.
C’è però un’altra spiegazione, non del tutto alternativa ma complementare a questa: l’attentato a Kakhovka è avvenuto in coincidenza con l’inizio della tanto pubblicizzata controffensiva ucraina, l’ultimo colpo in canna rimasto a Kiev per risolvere la partita sul campo di battaglia. Contrariamente ai roboanti annunci, l’avventura sembra iniziata piuttosto male e gli ucraini hanno voluto dimostrare a dimostrare fino a che punto siano disposti a spingersi per provocare una reazione russa fuori controllo.
Se qualcuno ancora pensa che il regime di Kiev prenderà a un certo punto serenamente atto di aver perso la guerra contro la Russia, pianificata fin dal 2014 con la complicità americana, e chiederà una tregua o un armistizio alla controparte, in ossequio al detto latino salus patriae summum bonum, è completamente fuori strada. Zelensky e i suoi pretoriani (Kyrilo Budianov, capo dell’intelligence militare, Mykaylo Podolyak, consigliere del presidente, Andriy Yermak, capo dell’ufficio presidenziale) ripetono come un mantra che “non ci arrenderemo mai”, e si può star certi che dopo aver distrutto e portato alla completa rovina l’Ucraina costoro siano disposti a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di trascinare anche il mondo intero nel loro personale Walhalla. La deriva del paese più povero d’Europa, saccheggiato per trent’anni da bande di oligarchi, vittima di un nazionalismo suicida, è arrivata a completarsi con il narcisismo e la mania di grandezza dell’attuale classe politica, il cui futuro non solo politico appare in una prospettiva non molto lontana appeso a un filo.
Zelensky ha deliberatamente sacrificato in pochi mesi 50mila suoi soldati per tenere a tutti i costi Bakhmut, si può pensare che arretri davanti al sabotaggio di una diga se può servire a radicalizzare ancor più il conflitto e spingere un altro pò verso l’intervento diretto della NATO? Se non fosse sufficiente la diga di Kakhovka, c’è sempre la centrale nucleare di Energodar, che gli ucraini bersagliano da oltre un anno, accusando con la massima disinvoltura i russi che la controllano, nel silenzio complice dell’AIEA e di tutti paesi occidentali. Gli effetti dell’esplosione del reattore di Energodar sarebbero incomparabilmente superiori a quelli della centrale di Chernobyl, con una ricaduta del fallout in molti paesi europei. Nel cassetto pare che sia conservata anche una bomba nucleare “sporca” a cui gli ucraini potrebbero ricorrere come extrema ratio di fronte allo spettro della sconfitta.
Insomma, Kakhovka potrebbe essere l’inquietante annuncio di un’escalation che matura in parallelo alla crisi del regime. Con la colpevole complicità dell’UE e degli USA, sta aumentando di giorno in giorno il rischio che la guerra si trascini tra le macerie di un paese e del suo popolo fino all’epilogo nel bunker della cancelleria di Kiev, e che nella Götterdämmerung di Zelensy e del suo cerchio magico venga nel frattempo risucchiata tutta l’Europa.
Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi, giornalista e storico. Si occupa della storia modenese e in particolare del periodo della Seconda Guerra Mondiale e del Dopoguerra. Tra le sue pubblicazioni:
Vittime..
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