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Il 23 febbraio i russi controllavano 7% dell’Ucraina, ora più del 20%

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I governanti di Kiev probabilmente stanno cominciando a realizzare che la solidarietà internazionale che li ha finora sostenuti cominci lentamente ad incrinarsi


Il 23 febbraio i russi controllavano 7% dell’Ucraina, ora più del 20%
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Dopo tre mesi di guerra la soluzione del conflitto russo-ucraino è ancora affidata al campo di battaglia, ed è prevedibile che così sarà ancora a lungo. I negoziati sono a un punto morto e le posizioni delle parti irrimediabilmente distanti, e al momento non esistono i presupposti per riportare i contendenti a sedersi intorno a un tavolo. La posizione del governo di Kiev, ancora sostenuta in via ufficiale dai governi occidentali, è che l’Ucraina vincerà militarmente e si riprenderà con le armi ogni centimetro perduto del proprio territorio, Crimea compresa. Il vice comandante dell’esercito ucraino, Oleksander Holodnyuk, ancora non molto tempo fa affermava che con le armi promesse dall’Occidente in giugno sarebbe stato possibile scatenare una controffensiva per riprendere tutto l’est del paese.

Sul fronte opposto, la posizione russa è altrettanto chiara: l’”operazione speciale” iniziata il 24 febbraio avrà termine solo quando sarà completamente “liberato” il Donbass russofono, lasciando solo qualche ambiguità sulla sua estensione territoriale, se cioè sia limitato agli oblast ucraini di Donetsk e Lugansk oppure se arriverà a comprendere tutta la parte sud orientale dell’Ucraina in cui storicamente è più forte l’influenza russa. A differenza di quella ucraina, l’idea di vittoria dei russi, a prescindere da ogni giudizio politico o morale che si voglia esprimere al riguardo, sul piano militare è realistica e alla loro portata, e l’evoluzione delle operazioni sembra, giorno dopo giorno, volgersi chiaramente a loro favore.

Naturalmente, trattandosi di un conflitto ibrido in cui giocano molti altri fattori, oltre a quello strettamente militare, uno dei contendenti potrebbe alla fine prevalere non per le vittorie conseguite sul terreno ma in seguito al verificarsi di un cambio improvviso nei vertici politici o un crollo economico che impedisca la prosecuzione dello sforzo bellico.

Nelle prime settimane di guerra Washington e i suoi alleati avevano puntato tutto proprio sul soffocamento economico della Russia attraverso le sanzioni e su una rivolta dell’establishment contro Putin, mancando però clamorosamente il bersaglio.

Nella fase iniziale dell’”operazione speciale” i russi hanno commesso il grave errore di scommettere sul rapido crollo interno del regime di Kiev, provando incautamente ad avanzare con forze numericamente limitate, precarie linee logistiche e insufficiente copertura aerea, lungo tutti i 1.500 km della linea di confine dalla Bielorussia alla Crimea. All’inattesa tenuta del governo ucraino si è poi aggiunta la sottovalutazione del livello di addestramento e dello spirito combattivo dell’esercito, che nelle prime settimane è riuscito ad arginare l’invasione nel nord del paese e a conseguire anche alcuni successi tattici.

Verso la fine di marzo i vertici politico-militari russi hanno compreso che la guerra-lampo rischiava di trasformarsi in una sanguinosa guerra di logoramento su un fronte troppo esteso e hanno deciso di ricalibrare gli obiettivi concentrandosi sul Donbass, un’area nella quale tra febbraio e marzo avevano già conseguito risultati apprezzabili avanzando dalla Crimea verso ovest fino a Kherson e a est fino al confine russo, con l’eccezione di Mariupol, assicurandosi il pieno controllo delle coste del mare d’Azov.

La battuta d’arresto dei russi intorno a Kiev ha reso euforici gli ucraini, i loro mentori occidentali e tutto il sistema dei media embedded, e tanto è bastato per alimentare l’illusione che l’esercito russo fosse ormai al collasso e che con l’aiuto militare occidentale l’invasione potesse essere definitivamente respinta ai confini. I titoli dei “giornaloni” di casa nostra di quelle settimane, che ripetevano coma un mantra “Kiev può vincere”, riassumevano il clima entusiasta che si era creato intorno alla “resistenza” ucraina. Il 15 marzo il generale Ben Hodges, ex comandante in capo delle forze armate americane in Europa, era arrivato addirittura ad affermare che “se l’Ucraina resiste altri 10 giorni, l’esercito russo non sarà più in grado d'attaccare”. Gli ucraini hanno resistito non dieci giorni ma altri due mesi, ciononostante i soldati di Mosca hanno costantemente mantenuto l’iniziativa tattica e strategica sul campo di battaglia. Anche la previsione data per certa che Putin sarebbe stato costretto a ordinare la mobilitazione generale del paese per rimpolpare le sue forze dissanguate si è rivelata errata.

Il paragone spesso tirato fuori a sproposito con il Vietnam e l’Afghanistan, dove paesi poveri e con forze armate irregolari o debolmente armate sono riuscite a prevalere su un nemico enormemente più forte sul piano militare, è del tutto fuorviante. In Ucraina non ci sono né vietcong né mujaheddin che sfuggono al confronto diretto e, grazie alla perfetta conoscenza e al controllo del terreno, possono colpire e fuggire a loro piacimento, provocando un costoso e alla fine insostenibile logorio alle truppe nemiche. Il conflitto russo-ucraino vede di fronte due eserciti regolari e organizzati che utilizzano i più moderni e sofisticati sistemi d’arma. Per sostenere e vincere una guerra come questa non basta la fionda e il coraggio di Davide per battere Golia, ma occorrono aerei, carri armati, artiglierie, una catena logistica perfettamente funzionante e depositi illimitati di carburante e munizioni; in questo genere di confronto Kiev si è trovato fin dall’inizio in condizioni di irrimediabile svantaggio rispetto a Mosca, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Per avere solo una vaga idea delle forze in campo, nei loro arsenali i russi dispongono di diecimila carri armati (T72, T80 e T90) e 4.000 aerei da combattimento contro gli ottocento carri e i duecento aerei degli ucraini, per lo più di costruzione sovietica. Questo divario, già di per sé notevolissimo, si aggrava giorno per giorno per le grandi difficoltà degli ucraini di rimpiazzare le perdite subite dall’offensiva aerea e missilistica russa.

Alla vigilia dell’invasione, gli ucraini erano in grado di bilanciare i russi solo nel numero degli effettivi: ai 200 mila soldati dell’esercito e ai 60 mila della guardia nazionale si opponevano circa 160 mila uomini delle forze armate russe a cui ne andavano aggiunti altri 40 mila delle repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk.

Per bilanciare l’enorme divario di armamento, a sostegno di Kiev sono intervenuti gli aiuti militari dei paesi occidentali. A ben vedere, al di là della grancassa pubblicitaria che vorrebbe dimostrare il sostegno illimitato dei paesi NATO, sull’Ucraina è piovuto e continua a piovere un vasto e disorganico assortimento di armi per lo più difensive come missili anticarro e antiaerei, droni tattici, mezzi corazzati per il traporto truppe; al momento pare che gli unici pezzi davvero “pesanti” spediti agli ucraini, a parte i fondi di magazzino ex sovietici dei paesi dell’Europa orientale, siano un centinaio di obici Howitzer da 155 mm di fabbricazione americana. Nel complesso queste forniture possono forse rallentare l’avanzata del nemico, infliggergli perdite anche considerevoli, ma non sembrano sufficienti a fermarlo, né, tantomeno, di consentire agli ucraini il passaggio all’offensiva per riprendersi i territori perduti.

Nella seconda fase dell’”operazione speciale” che ha preso avvio intorno alla metà di aprile i russi si sono concentrati sulla “liberazione” dei territori degli oblast di Lugansk e Donetsk ancora controllati da Kiev, intorno ai quali gli ucraini con l’assistenza occidentale hanno costruito, a partire dal 2014, una potente linea Maginot, con trincee, casematte, piazzeforti mimetizzate di artiglieria e campi minati.

L’area interessata dall’offensiva attualmente in corso corre per circa 200 km da Izyum a nord, nell’oblast di Kharkov, fino a meridione della città di Donetsk. Il drastico accorciamento della linea del fronte ha permesso ai russi di massimizzare l’impiego tattico delle limitate forze operative disponibili. Da allora l’avanzata è stata costante anche se molto rallentata dalla tenace difesa di ogni villaggio da parte dell’esercito ucraino, che costringe gli attaccanti ad affrontare combattimenti urbani casa per casa. Per limitare la perdita di soldati e per sfruttare al massimo la propria superiorità di fuoco i russi prima di fare avanzare la fanteria hanno cominciato a utilizzare metodicamente il fuoco di artiglieria per saturare le linee difensive avversarie e “macinare” i difensori.

Nella fase attuale delle operazioni l’esercito russo è impegnato a realizzare due ampie manovre di accerchiamento delle forze ucraine: una intorno alle città di Severodonetsk e Lysychansks, ultima porzione ucraina dell’oblast di Lugansk, e l’altra più a ovest intorno agli abitati di Kramatorsk e Sloviansk, nel territorio di Donetsk. Completante queste due operazioni è prevedibile che i russi si rivolgano a sud per stringere una tenaglia intorno alla linea fortificata allestita dagli ucraini intorno a Donetsk, capitale dell’omonima repubblica separatista.

Nell’ultima settimana le operazioni russe in direzione di Severodonetsk hanno conosciuto un’improvvisa accelerazione in seguito alla conquista degli importanti caposaldi di Popasna e poi dello Svetlodarsk Bulge più a nord. E’ quindi prevedibile che ai ritmi attuali il cerchio intorno ai 15 mila soldati ucraini che presidiano Severodonetsk si chiuda definitivamente entro pochi giorni. Le autorità ucraine hanno dovuto ammettere che nel Donbass la situazione per le proprie truppe si sta facendo sempre più critica e che stanno morendo dai 50 ai 100 soldati al giorno; al momento non sembrano però intenzionate a dare l’ordine di ritirata, ripetendo lo stesso errore già fatto a Mariupol, con la differenza che a Mariupol i soldati avevano i sotterranei dell’Azovstal dove rifugiarsi a Severodonetsk si troverebbero completamente in balia degli assalitori e a dover rapidamente scegliere se battersi fino alla morte o arrendersi. E’ quindi possibile che l’eventuale ordine di difendere la città fino all’ultimo non venga rispettato e che si moltiplichi il fenomeno già in atto delle diserzioni, soprattutto da parte di reparti male addestrati e male armati che in numero crescente vengono spediti in prima linea direttamente sotto il fuoco nemico.

Gli aspetti morali e simbolici della guerra sono fondamentali e diversi segnali sembrano indicare che dopo la resa senza condizioni a Mariupol del reggimento Azov – una delle formazioni iconiche dell’esercito ucraino e il cui motto era “O vittoria o Walhalla” – il momentum del conflitto stia volgendo a sfavore degli ucraini. I governanti di Kiev probabilmente stanno cominciando a realizzare che la solidarietà internazionale che li ha finora sostenuti cominci lentamente ad incrinarsi. Le parole di Henry Kissinger pronunciate al forum di Davos con cui ha esortato gli ucraini a raggiungere una soluzione di compromesso con la Russia, che comprenda anche inevitabili sacrifici territoriali, rappresentano un pensiero che si sta diffondendo nelle élite soprattutto europee, per ora sottotraccia, ma che con il trascinarsi del conflitto finirà per uscire allo scoperto. Che l’aria cominci a cambiare l’ha capito benissimo Mikhail Podolyak, consigliere di Zelensky, il quale si è apertamente lamentato che a Davos, i rappresentanti occidentali hanno fatto capire di volere un cessate il fuoco e accordi con il Cremlino in modo da riprendere a fare affari con la Russia.

Il 23 febbraio i russi controllavano il 7 per cento dell’Ucraina, ora più del 20 ed è prevedibile che di qui a qualche mese arriveranno al 30 per cento. A quel punto, come aveva previsto il presidente polacco Mateusz Morawiecki tempo fa, i russi “potranno sedersi al tavolo delle trattative da una posizione di grande forza”.

Giovanni Fantozzi

Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi, giornalista e storico. Si occupa della storia modenese e in particolare del periodo della Seconda Guerra Mondiale e del Dopoguerra. Tra le sue pubblicazioni:
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