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Miliardi per le armi, ma ricostruzione dell'Ucraina resta una chimera

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Quando ci sarà da mettere davvero mano al portafoglio a guerra finita molti di quelli che oggi sono prodighi di armi domani saranno i primi a sfilarsi


Miliardi per le armi, ma ricostruzione dell'Ucraina resta una chimera
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Nei primi tempi della guerra russo-ucraina la propaganda embedded dei media pareva mirata soprattutto a sostenere il consenso dei paesi occidentali alla causa NATO-americana, ma con il trascorrere del tempo pare che si stia orientando sempre più a rinsaldare lo spirito combattivo e la fede nella vittoria finale delle élite e della popolazione ucraina. Affinchè chi combatte conservi la stessa feroce determinazione nella lotta, a prescindere dall’esorbitante prezzo pagato ogni giorno, è di fondamentale importanza rassicurarlo che la sua causa è la stessa dell’intero “mondo libero” e che può contare sul sostegno bellico ed economico illimitato dei paesi più potenti e prosperi della terra. Iniezioni artificiali di fiducia dirette al fronte interno vengono somministrate quotidianamente in mille forme, fino a trasformare l’Eurovision in uno spettacolino per le truppe al fronte e a tenere accesa su Zelensky l’aura di un semidio che impartisce benedizioni a destra e a manca, capace di materializzarsi in ogni angolo della terra, che sia il festival di Cannes, l’assemblea dell’ONU o il forum dei potenti della terra di Davos.

All’inizio della guerra gli americani non erano sicuri che gli ucraini, sebbene li avessero armati e addestrati senza badare a spese per molti anni, avrebbero retto all’urto dei russi e perciò li avevano spinti a trattare una possibile soluzione di compromesso; poi, visto che tenevano bene il campo di battaglia e che per Putin la guerra non sarebbe stata una passeggiata, li hanno indotti a credere che avrebbero davvero potuto vincere, cacciando con le armi dai loro confini l’ultimo russo. USA e NATO avrebbero messo sanzioni, armi e soldi senza limiti, loro sangue e macerie senza fine. Poi, ottenuta la vittoria, il paese devastato sarebbe stato ripristinato nelle infrastrutture e nell’economia con un nuovo Piano Marshall, com’era accaduto per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale.

Uno dei guai della propaganda è che spesso finisce per creare un mondo virtuale slegato dalla realtà, e per chi vi si lascia inghiottire il momento del risveglio produce conseguenze ancor più drammatiche della stessa guerra. Considerata la macroscopica differenza di potenziale bellico e umano tra i due paesi in conflitto, una netta vittoria militare sul campo degli ucraini appartiene al momento più al libro dei sogni che al mondo reale. Tuttavia, è piuttosto concreta la possibilità che se anche il conflitto dovesse finire domani con una loro vittoria, il paese non sia in grado di risollevarsi dal baratro della crisi economica e della distruzione in cui è sprofondato.

Sebbene l’argomento delle disastrose condizioni economiche dell’Ucraina sia stato fin qui accuratamente evitato dai media bellicisti, l’Ucraina ben prima dell’inizio del conflitto versava in condizioni pressochè disperate. Tra i tanti indicatori negativi, basti ricordare che fatto 100 il PIL del 1991, anno dell’indipendenza, nel 2015 era solo il 63,4 per cento, la più bassa percentuale tra tutti i paesi dell’ex URSS. Per trent’anni le risorse economiche del paese sono state sistematicamente saccheggiate da bande di oligarchi-predoni, coadiuvate da una burocrazia corrotta e rapace. Per risollevarsi economicamente e migliorare le condizioni di vita di una popolazione ultima in Europa per PIL procapite, l’Ucraina avrebbe dovuto avviare riforme profonde nella sua struttura giuridica e amministrativa e puntare a un innalzamento dell’efficienza produttiva. La strada intrapresa nel 2014 dalla classe dirigente ucraina è stata invece quella di investire massicciamente nel rafforzamento del proprio esercito, aumentando le spese militari fino al 4,1 per cento del PIL, la percentuale più alta in Europa insieme alla Russia, e di individuare contestualmente un nemico su convogliare lo scontento popolare. Il nemico lo hanno senz’altro trovato, ma se l’Ucraina è arrivata a detenere il non invidiabile primato di Cenerentola d’Europa la responsabilità non può essere addossata a Putin, ma per intero alla classe politica che ha malgovernato a Kiev negli ultimi trent’anni.

Ovviamente i disastri immani della guerra in corso stanno ulteriormente aggravando, giorno dopo giorno, le condizioni del paese. In questi tre mesi di conflitto ha subito la distruzione del 30 per cento della rete dei trasporti (strade, ferrovie, aeroporti), danni alle infrastrutture per 300 miliardi di dollari e al patrimonio edilizio per un trilione; il 30 per cento delle aziende ha chiuso i battenti, mentre il sistema economico ha registrato la perdita di 600 miliardi. Nel 2022 si prevede un calo del 50 per cento del raccolto di cereali, la principale voce dell’export per l’Ucraina. La perdita dell’accesso al mare d’Azov e il blocco del porto di Odessa rendono poi impossibile il trasporto dei cereali per mare, bloccando di fatto l’unica fonte di valuta pregiata per il paese. L’ONU ha dichiarato che il 90 per cento degli ucraini è a rischio di povertà. L’arcivescovo greco-cattolico di Kiev, mons. Sviatoslav

Shevchuk ha detto che “Ucraina ha già perso gran parte del suo potenziale economico”, e ha pure lamentato la diminuzione del volume di aiuti umanitari alla popolazione. Né si può dimenticare l’esodo verso l’Europa di oltre cinque milioni di ucraini, circa il 20 per cento della popolazione, molti dei quali è prevedibile che non faranno ritorno a guerra finita.

A sostegno del governo di Kiev sono piovuti e stanno piovendo decine di miliardi di dollari provenienti in gran parte dagli Stati Uniti, che allo scopo ha varato un apposito piano lend and lease. A ben vedere però, il pacchetto di aiuti 57 miliardi di dollari stanziato dal Congresso pochi giorni orsono è destinato per la gran parte all’acquisto di forniture belliche all’esercito ucraino, e solo in piccola parte a finanziare il deficit di parte corrente per il funzionamento dello stato che ammonta a tre miliardi di dollari mensili. E in ogni caso si tratta di “affitti e prestiti” e non di soldi regalati e non appare per nulla chiaro se e come l’Ucraina potrà mai ripagare un simile debito. Al sostegno economico degli americani vanno sommati altri 24 miliardi messi a disposizione dal G7 e il “pacchetto resilienza” finanziato dall’UE per due miliardi di dollari, oltre a importi molto più modesti messi a disposizione dagli stati europei per l’acquisto di armi o di aiuti umanitari

Per la quasi totalità questi soldi vengono inghiottiti dalle quotidiane esigenze della guerra e non è per nulla chiaro che accadrà all’Ucraina quando le armi taceranno, e si tratterà di ricostruire questo martoriato paese, sempre che sia possibile farlo. Non è infatti per nulla da escludere che, sommando le difficoltà economico-sociali pregresse alle immani distruzioni belliche, l’Ucraina diventi un not viable state, uno stato non sostenibile.

I palazzi di Bruxelles hanno fatto trapelare l’esistenza di un “Piano di restaurazione dell’Ucraina” finalizzato alla ricostruzione postbellica, ma vista la sua vaghezza rientra probabilmente nel novero delle tante promesse per animare la “resistenza” ucraina. Inoltre, a tre mesi dall’inizio del conflitto, il fronte della solidarietà europea pare cominciare già a sfilacciarsi e non solo in merito all’estensione delle sanzioni in campo energetico, che alcuni paesi si sono categoricamente rifiutati di approvare. Il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz hanno rilasciato dichiarazioni improntate a un crudo realismo, sostenendo pubblicamente che per l’adesione dell’Ucraina all’UE ci vorranno almeno vent’anni, vale a dire un rinvio sine die. Il ministro delle finanze tedesco, Christian Lindner non è stato meno esplicito, respingendo l’idea di ulteriori strumenti di finanziamento a debito come un apposito Recovery fund da destinare all’Ucraina, e anzi ha invitato tutti i paesi a tornare a una “finanza pubblica sana” smettendola con le politiche di condivisione del debito. La “ricreazione” dei conti dovuta alla pandemia sembra volgere al termine per tutti i paesi membri dell’UE, figurarsi per l’Ucraina. Non sono pochi poi coloro che, considerata la corruzione endemica in quello stato, e la mancanza di efficaci strumenti di verifica e di controllo sui conti pubblici, si chiedono se i soldi fin qui messi a disposizione giungano alla popolazione o continuino a finire nelle tasche di oligarchi e funzionari corrotti.

Insomma, c’è fin d’ora da scommettere che quando ci sarà da mettere davvero mano al portafoglio a guerra finita molti di quelli che oggi sono prodighi di armi e incitamenti a resistere domani saranno i primi a sfilarsi di fronte alla missione impossibile di ricostruire lo stato ucraino dalle fondamenta.

Giovanni Fantozzi

Giovanni Fantozzi
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Giovanni Fantozzi, giornalista e storico. Si occupa della storia modenese e in particolare del periodo della Seconda Guerra Mondiale e del Dopoguerra. Tra le sue pubblicazioni:
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