Zelensky applaudito in Italia... Ma Israele non dimentica
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Zelensky applaudito in Italia... Ma Israele non dimentica

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Israele è stato l’unico paese occidentale con stretti rapporti con gli USA che non ha condannato nettamente invasione russa, rifiutandosi di applicare sanzioni


Zelensky applaudito in Italia... Ma Israele non dimentica
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Nel suo discorso in collegamento virtuale con la Camera il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky ha dato l’ennesima prova di quell’abilità affabulatoria di attore comico che tanto aveva contribuito alla sua trionfale elezione a presidente dell’Ucraina nel 2019. E com’era già accaduto a conclusione dei suoi interventi nelle assemblee elettive degli stati Uniti e di altri grandi paesi europei, anche i nostri deputati e senatori non hanno mancato di tributargli un’ovazione da stadio, consolidando la sua immagine di campione assoluto delle libertà democratiche contro il dispotismo russo, che tutte le élite occidentali gli hanno cucito addosso da un mese a questa parte. Con gli eroi della causa del bene è d’obbligo essere comprensivi semmai se dovessero commettere qualche peccato, e in suo soccorso sono sempre pronti a intervenire in coro i media per camuffarlo come virtù o semplicemente per nasconderlo.

Così nessuno dei nostri parlamentari che nel tempio della democrazia si spellava le mani ha fatto caso al decreto presidenziale del giorno prima con cui Zelensky aveva sospeso l’attività di undici partiti, tra cui Piattaforma di opposizione per la vita, che con due milioni di voti e 43 seggi è la principale forza di opposizione nella Verchovna Rada. Il suo leader, Viktor Medvedchuk, era già stato arrestato lo scorso anno con l’accusa di “finanziare il terrorismo”, ma nella sostanza di essere filorusso. Non è bastato che Piattaforma di opposizione il 24 febbraio avesse prontamente condannato l’intervento russo. In nome di una concezione molto singolare del pluralismo, nello stesso decreto Zelensky ha stabilito l’accorpamento di tutti i canali televisivi per costituire “un’unica piattaforma informativa” ovviamente orchestrata dal governo. L’involuzione del regime di Kiev non è tutta farina del sacco di Zelensky, ma procede gradualmente da almeno un decennio.

Nel 2019, l’allora presidente Petro Porošenko aveva imposto una legge che stabiliva l’obbligo di utilizzare l’ucraino in tutti gli uffici pubblici, privando di ogni tutela le decine di altri idiomi minoritari, ovviamente a partire dal russo che è lingua madre per circa un quarto degli ucraini.

L’adorante kermesse a distanza di Zelensky presso il nostro Parlamento è servita anche a rimediare prontamente all’unica battuta d’arresto conosciuta in questo trionfante pellegrinaggio virtuale nei parlamenti dell’Occidente. Il 20 marzo, la reazione della Knesset israeliana alle sue parole era stata infatti piuttosto gelida. Essendo di origini ebraiche, l’ex comico e i suoi gost writers pensavano di andare sul velluto lanciandosi nell’ardito parallelismo tra l’invasione russa e l’Olocausto nazista e sollecitando i parlamentari israeliani ad aiutare l’Ucraina come gli ucraini avevano aiutato gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Commisurare l’invasione dell’Ucraina ai momenti più cruciali e decisivi della storia aveva funzionato a dovere con il Congresso degli Stati Uniti, dove Zelensky aveva ricordato Pearl Harbour e con il Bundestag, dove aveva rievocato la caduta del muro di Berlino. In Israele, invece, la reazione dei politici e dei media israeliani alle parole di Zelensky è stata inaspettatamente dura: il ministro delle comunicazioni, Yoaz Hendel ha detto che “il confronto con gli orrori dell’Olocausto e la soluzione finale è scandaloso”; l’ex ministro dell’Intelligence Yuval Steiniz, ha osservato che “se il discorso di Zelensky fosse pronunciato in giorni normali, rasenterebbe la negazione dell’Olocausto”.

Com’è noto gli israeliani sono molto sensibili al tema dell’unicità dell’Olocausto e si irritano facilmente di fronte a simili raffronti; e inoltre alcuni milioni di cittadini israeliani sono di origini russe e ucraine, e hanno ancora viva la memoria di quale sia stato effettivamente - con la lodevole eccezione dei 2.673 riconosciuti Giusti tra le nazioni - il contributo degli ucraini alla salvezza degli ebrei nel tragico periodo della seconda guerra mondiale. Il contributo, ad esempio, che fornì ai nazisti la polizia collaborazionista ucraina nell’esecuzione della strage di 35 mila ebrei avvenuta a Baby Yar, nei pressi di Kiev, nel settembre 1941; oppure il contributo dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) di Stepan Bandera al massacro degli ebrei di Leopoli nel luglio 1941, culminato nei cosiddetti “giorni di Petliura”, nel corso dei quali i miliziani uccisero circa duemila ebrei per vendicare a freddo, a distanza di molti anni, la morte del loro eroe indipendentista Simon Petliura. Costui era stato a capo dell’effimera Repubblica popolare ucraina negli anni della guerra civile seguita al crollo dell’impero zarista ed era stato freddato a Parigi nel 1926 da un ebreo che intendeva così vendicare lo sterminio della propria famiglia ad Odessa, nel corso di uno delle centinaia di pogrom perpetrati dalle milizie nazionaliste tra il 1918 e il 1921. Con la crescita impetuosa del nazionalismo ucraino promossa negli anni della presidenza di Viktor Juščenko, anche Petliura è stato sdoganato e promosso tra i mentori dell’Ucraina contemporanea: nel 2017 la città di Vinnytsia gli ha dedicato una statua, suscitando le isolate proteste del Congresso ebraico mondiale.

L’accoglienza tutt’altro che trionfale del parlamento israeliano non era però dovuta solo ad alcune frasi infelici pronunciate da Zelensky. Israele è stato l’unico paese occidentale con stretti rapporti con gli USA che non ha condannato nettamente l’invasione russa, rifiutandosi inoltre di applicare sanzioni a Mosca e di fornire armi a Kiev, neppure elmetti o giubbotti antiproiettile. Gli israeliani assegnano da sempre la priorità alla difesa dei loro interessi nazionali con un realismo cinico, talvolta brutale. Di esso hanno dato ampia prova anche nelle incursioni che hanno condotto dal 2006 al 2021 nella striscia di Gaza e che hanno provocato circa 3.500 vittime palestinesi, tra cui molti civili. E il loro atteggiamento prudente sul conflitto in Ucraina va soprattutto attribuito alla volontà di non sacrificare i buoni rapporti stabiliti con la Russia nel delicato contesto siriano e mediorientale. A smuoverli da questa posizione equidistante non ha però di certo contribuito lo sviluppo dell’estremismo nazionalista ucraino, favorito in questi anni dagli americani per esacerbare l’ostilità verso i russi, i quali non si sono fatti alcuno scrupolo nell’armare e addestrare milizie dichiaratamente neonaziste come Azov, Aidar e Donbass; quelle stesse formazioni che sulla pagine dei giornali nostrani vengono ora presentate come le nuove brigate partigiane della Resistenza sulle Termopili della democrazia a Mariupol e dintorni contro le orde russe avanzanti. Se per i nostri media queste sono quisquilie nella santa crociata tra il bene e il male non lo sono invece per un paese come Israele, che per i vincoli ancestrali con quelle terre e per le sofferenze che gli ebrei vi hanno subito, è senz’altro meno disponibile a transigere su questi rigurgiti nazisti.

Al momento, questa posizione defilata sta guadagnando a Israele e al suo primo ministro Naftali Bennett il ruolo di credibile mediatore tra le parti, a cui aspirano, ma che certo non possono svolgere, né il presidente francese Macron, né il cancelliere federale tedesco Scholz, posizionati saldamente nella trincea armata antirussa. Da parte sua, il presidente Zelensky è ancora convinto che la pace si possa raggiungere utilizzando come sponda qualche paese schierato in suo favore e ha criticato “una mediazione senza scegliere da che parte stare”; secondo lui “si può mediare tra paesi ma non tra il bene e il male”.

I cannoni intanto continuano a tuonare e la strada per raggiungere la pace appare ancora lunga; forse la direzione giusta di marcia è quella indicata dal presidente cinese Xi Jinping nel citare un verso del poeta Hui Hong della dinastia Song: “Spetta a chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”. Fuor di metafora, la pace si potrà raggiunge se gli Stati Uniti che hanno legato il sonaglio della NATO al collo della tigre russa, che ora sta cercando in modo scomposto di strapparselo di dosso, vorranno o saranno in grado di toglierlo.

Al di là dei suoi possibili frutti e dei tempi necessari a coglierli, l’iniziativa del presidente israeliano Bennett appare uno dei pochi spiragli di ragionevolezza in un mondo che per la prima volta dal 1945 sembra correre trafelato verso il precipizio della guerra.

Giovanni Fantozzi - storico

Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi, giornalista e storico. Si occupa della storia modenese e in particolare del periodo della Seconda Guerra Mondiale e del Dopoguerra. Tra le sue pubblicazioni:
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