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C'è Lia, ex addetta di una cooperativa di servizi sanitari, autosospesa per non cedere a quello che definisce 'ricatto del Green Pass', poi c'è Enrico, autonomo che da esterno lavora per CNH, che ha dedicato due ore della mattina per incontrare i lavoratori obbligati a consumare il pasto nelle aiuole fuori dalla fabbrica, poi c'è Daniela, sindacalista CGIL RSU di una azienda metalmeccanica di Reggio Emilia, che non accetta la posizione assunta dal sindacato a livello nazionale, venuta apposta per esprimere la propria solidarietà ai lavoratori CNH che alla spicciolata, tra un turno e l'altro, o principalmente nella pausa pranzo, si ritrovano, perché esclusi dalla mensa, nella parte esterna dello stabilimento. Ce ne sono ovunque, sulle aiuole, sulle scalinate di sicurezza del cinema Victoria, nei parcheggi. Tutti obbligati, da settimane, a consumare il proprio pranzo fuori, perché senza Green Pass.
E non mancano coloro che pur avendolo e potendo entrare in mensa, escono lo stesso, per rimanere vicino e solidali ai colleghi che - dicono - 'hanno avuto di fianco nelle 4 ore precedenti in catena di montaggio ma che non possono avere seduti di fianco in mensa'. C'è chi ha panino e coca cola, c'è chi si è organizzato con il contenitore termico con la pasta e la borsa frigo, da casa. Rifiutati da una mensa garantita da anni e che dovrebbe essere garantita, da contratto. Un contratto pieno di diritti che sembrano diventati carta straccia se non piegati alla 'legge', del Green Pass, o meglio di un decreto legge che senza passare dal parlamento ha la forza di spazzare via, con l'appoggio del sindacato, anni di conquiste frutto di contrattazioni. Anche su cose basilari, non solo come il diritto alla mensa, ma il diritto stesso al lavoro.
Vincolato al possesso di un certificato diventato obbligatorio anche se basato su un presupposto che non è obbligatorio, quello del vaccino.
'Questo è un punto che deve unire tutti, vaccinati e non vaccinati, perché il Green Pass mette in gioco diritti che vanno ben oltre, e c'entrano poco o nulla con la questione sanitaria' - afferma Lia, operatrice di una cooperativa che si è dimessa non di fronte alla prospettiva del vaccino, ma al 'ricatto del Green Pass' che le è stato imposto. 'L'alternativa data dal tampone a pagamento, non è una alternativa per un lavoratore come vogliono fare credere. Il problema non è il vaccino, ma il ricatto del 'vaccinati' firmando un consenso informato che non ci garantisce né copertura né effetti anche a lungo termine, e che scarica sui cittadini la responsabilità che lo Stato non si assume: un ricatto che ti dice o così o muori di fame perché ti togliamo il lavoro o perché devi spendere uno stipendio in tamponi. Ci sentiamo traditi dallo Stato, dal sindacato e dalla sinistra che si è sganciata dalle piazze e dal cuore dei lavoratori'
Il tentativo di chi non ci stà è quello di strutturare questa protesta civile e pacifica ma soprattutto di allargarla in vista del 15 di ottobre.
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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