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Modena, urbanistica e trasporto pubblico: due questioni intrecciate

Modena, urbanistica e trasporto pubblico: due questioni intrecciate

Modena che ad ogni piè sospinto si definisce europea è ancora lontana dalla qualità urbana nonostante la ricchezza materiale e sociale di cui si dispone


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Seguo ancora le vicende dell’urbanistica modenese. Non mi dilungo sugli obbrobri, tipo i palazzi di Via delle Costellazioni, la finta “rigenerazione urbana “di Via Peretti/ AMCM, l’R- Nord al quartiere alla Sacca i “nuovi condomini di Fort Alamo a Vaciglio... Tutte costruzioni dove l’urbanistica c’entra ben poco, che paiono più il frutto dell’urbanistica alla “Salva Milano” come strumento di pianificazione urbanistica come pare si stia avverando per la sede del nuovo studentato. Un edificio questo che dai rendering pare più un carcere che un luogo di accoglienza di giovani studenti e di cohousing. Tutte queste costruzioni appaiono come l’edilizia che ha prevaricato, sostituito, annullato l’urbanistica, dove la rendita ha smaccatamente vinto. Purtroppo, l’elenco sarebbe ancora più lungo. E non è un caso se nell’inchiesta di Milano ora sotto la lente di ingrandimento della magistratura ci siano anche gli studentati. Per fortuna (per scelte urbanistiche senz’altro migliori) ancora viviamo di rendita dei piani espansivi degli anni 80 che, pur se con qualche carenza, hanno plasmato la città che oggi viviamo e che ancora resiste agli assalti della speculazione edilizia e fondiaria

Periferie

La grande sfida della città nuova sarebbe dovuta partire già dalla fine degli anni 90, con la riqualificazione delle periferie storiche.
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Ma gli amministratori che si son susseguiti negli ultimi venti anni purtroppo non hanno avuto visione, ma hanno permesso che troppo “visone” andasse alla speculazione edilizia.
Ancora si “nicchia” sull’adozione della città a 30/Km/h in attesa che ci sia il grande consenso popolare e sulla quale la maggioranza di governo pare avere l’atteggiamento dell’opossum, per star sul sicuro. Se qualche strada scolastica qui e là è meglio di niente va bene, ma a fronte delle decine di morti e di feriti gravi che insanguinano tutta l’area urbana e che pone la città fra le prime per violenza stradale, che costa a Modena quasi mille euro per famiglia a me par poco. Anziani, pedoni e ciclisti son quelli che ne pagano il prezzo a vantaggio di quelli che sfrecciano anche oltre i 50/Km ora e che usano l’auto per fare non più di 3-4 km al giorno, mentre il paesaggio urbano è lastricato appunto di auto che restano ferme 23 ore su 24 in centro come in periferia.
Da ASIRT (Association for Safe International Road Travel): Helsinki, 685.000 abitanti zero morti nel 2024, ovvero vision zero su violenza stradale. Modena? 184.806 abitanti, 10 morti solo nei primi 10 mesi del 2024 e quindi quale sarebbe la vision?
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Andrebbero bene 8 morti nel 2025 e semmai 6 nel 2026? E se fra questi ci fosse tuo figlio, tua madre, tua nonna ci accontentiamo della vision a 6 morti? E al 2030 andrebbero bene 4 morti in una ipotesi di continuo calo della mortalità? E se fra questi quattro ci fosse tua moglie, la fidanzata, il tuo miglior amico, allora andrebbe bene? Spero tanto che i partiti di governo si ridestino ed assumano un ruolo incisivo e che sia questa Amministrazione a guidare il cambiamento. Se né l’uno né l’altro si danno da fare, vuol semplicemente dire che non c’è visione né coraggio.

Tpl

Trasporto pubblico: ancora fermo al palo, usato prevalentemente da studenti, qualche anziano e immigrato povero. La presenza di AMO nella gestione del trasporto pubblico è stata di fatto prevalentemente burocratica: più da agenzia da “paper pusher”, né più né meno che un burocratico regolatore di offerta che di un sapiente innovatore della mobilità pubblica. A parte un exploit due- tre anni fa, in cui ha presentato qualche ipotesi di razionalizzazione e innovazione della rete, è stata quel che è sotto gli occhi di tutti, una sostanziale spin off della municipalità, a cui il sindaco di turno del capoluogo dispensava la chiave all’Amministratore Unico, a patto di non dare fastidio e/o intraprendere iniziative.
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Neanche discusse le ipotesi di riorganizzazione del trasporto pubblico distribuite a suo tempo: tutto messo in un cassetto. Di fatto il ruolo di AMO è stato quello di manutenere le fermate, sovrintendere il lavoro di SETA con molto ma molto riguardo (sarebbe interessante sapere quante violazioni contrattuali ha segnalato e sanzioni comminato).
Non mancano però i soloni della mobilità e del trasporto pubblico, che di volta in volta raccomanda, propone addirittura linee e percorsi perché qualche decennio orsono erano nel consiglio della vecchia ATCM e quindi esperti. Alcuni suggeriscono perentorie e definitive scelte strategiche/ tattiche, tipo “tutto ferro”, tram- treno, altri solo treno, solo bus, tram-bus: come se tali scelte per l’area metropolitana ed urbana si possano fare senza conoscenza e sapienza di cosa è la mobilità e di come si vuole che sia almeno nei prossimi 10-20 anni. Non è detto che il tutto ferro o il tram-treno siano la soluzione ottimale se non si ha un piano della mobilità del futuro e se questo non tiene conto dell’evoluzione tecnologica dei mezzi di trasporto di massa, dell’evoluzione demografica, dell’economia, dei redditi, della diversa ripartizione nell’uso del tempo da parte dei cittadini, delle tendenze relative alla mobilità non motorizzata.
Purtroppo, Modena sa poco se non nulla della sua mobilità attuale tantomeno di quella futura e prevedibile. Del resto, se le ambizioni sono ancora quelle del PUMS - dove di trasporto pubblico se ne parla solo per descriverlo asetticamente, del ruolo dei taxi neanche una riga, della pedonalità nemmeno, della ciclabilità solo per dire che abbiamo tante ciclabili (ma senza ciclisti) e della mobilità privata giusto qualche numero, che cosa ci si può aspettare? Ancora non ci si rende conto che la mobilità ciclistica a pedalata assistita/elettrica sta cambiando la mobilità in tutto il mondo: solo a Parigi le bici hanno superato il numero delle auto, a Londra nella city le bici sono arrivate al doppio senza citare Olanda, Danimarca, Finlandia addirittura Spagna. E questo è stato ottenuto non solo con più ciclabili fra loro collegate, ma anche di parcheggi per bici, meno parcheggi su strada, ampliamenti dei marciapiedi e delle zone a traffico limitato.
Le norme urbanistiche standard poi, sono quelle del secolo passato: standard per parcheggi auto a valanga, stalli per bici …solo per concessione illuminata.
Se poi si mettono insieme il PUG- Piano Urbanistico Generale (che per una sciagurata legge regionale lascia qualsiasi proposta urbanistica alla iniziativa privata) e il PUMS, ancora una volta “la sindrome opossum” si manifesta.

Seta

Ci si lamenta di SETA; un’azienda di trasporto pubblico che paga i suoi addetti più importanti ovvero gli autisti, meno che gli stagionali clandestini a raccogliere pomodori. Un trasporto pubblico che ha pochissime corsie preferenziali, che lascia gli studenti a piedi per mancanza di autisti, che ci ha messo anni ed anni per rinnovare e solo parzialmente la sua flotta; un quadro davvero desolante. Ovviamente non è colpa di SETA né di AMO in quanto tali, ma dei suoi soci sì e quando qualche labile sussurro è venuto fuori dai loro vertici, ecco le loro dimissioni per “motivi personali”. Ed anche la futura mega azienda del trasporto regionale dove sarà inglobata senza un forte, evidente, credibile modello di traffico, ovvero di mobilità inciderà poco o nulla sulla qualità ed efficienza del trasporto pubblico se non si liberano le strade dalle auto in favore di pedoni e ciclisti. E questo compito non spetta alla futura SETA, ma alla municipalità di oggi.
Se si vuole un trasporto pubblico efficiente bisogna crederci ed essere disponibili a pagare, anche se dallo stato arriva poco. È inutile anche rinnovare o aumentare la flotta, metterla tutto ad elettrico o idrogeno, su ferro o su gomma se non privilegi la pedonalità, la ciclabilità ed appunto il trasporto pubblico di qualità a scapito della mobilità privata. Che vuol dire migliori frequenze e tempi di percorrenza, trasporto serale esteso, qualità dei mezzi. Che, se anche si duplicassero i mezzi oggi, non essendoci corsie preferenziali (e visione) aumenterebbero ritardi e congestione a fronte di spese insostenibili che neanche 4 euro a corsa sarebbero sufficienti per andare in pareggio. E’ necessario perciò prima prefigurare uno o più modelli di viabilità/mobilità, fare indagini origine -destinazione, analizzare i dati di traffico sui principali nodi stradali, indagare sui motivi degli spostamenti, classificare il traffico per tipo di mezzo usato, capire, quantificare e prevedere le nuove modalità di uso e possesso dei mezzi, stimare meglio i costi di investimento (manutenzione ordinaria e straordinaria compresa) della rete stradale, confrontarle con una mobilità nuova ( più TPL, più pedonalità, più ciclabilità). E quindi valutare le diverse tecnologie disponibili per il trasporto di massa, per il trasporto delle merci nell’ultimo miglio (quante bike cargo elettriche o a pedalata assistita potrebbero sostituire furgoni da 5 quintali che trasportano in centro e non solo il pacchettino di Amazon?) E da qui ridisegnare una rete che abbia una gerarchia: linee principali dove eventualmente introdurre il cosiddetto Bus Rapid Transit (BRT), reti complementari, reti di adduzione a supporto alle due precedenti. E poi spingersi a ridefinire il ruolo, la quantità e la tipologia dei taxi (nel centro storico potrebbero operare per esempio solo tricicli elettrici per un massimo di due/tre persone che con poca spesa ti porterebbero alle fermate delle reti principali). Ancora, porre dei limiti massimi nel rapporto automobili/popolazione: limiti ovviamente non dittatoriali ma raggiungibili a fronte di decise politiche della mobilità. A Modena oggi ci sono 650-700 auto per abitante quando la media europea delle città virtuose non supera i 450. Una quantità straordinariamente malvagia, da città soffocata, al quale corrisponde il più alto numero di morti e violenza stradale della regione. Ciò vuol dire che è necessario limitare il più possibile la mobilità privata dando la possibilità a chi davvero non ne può fare a meno, di usare l’auto in tranquillità a scapito dell’automobilista dei tre chilometri al giorno nelle ore di punta, dei parcheggi su strada al posto di alberi e corsie ciclabili sicure, ovvero della città a Km/30. Dove bambini, anziani, tutti, possano andare a scuola ed in ufficio a piedi, in bici in sicurezza e con un ottimo servizio pubblico.
Ma ci vogliono studi ed analisi, numeri, oltre alla volontà di farle, ci vuole tempo, almeno un anno e più e poi risorse finanziarie consistenti per impiegare diverse professionalità: esperti di trasporto pubblico, urbanisti, architetti, statistici, esperti di reti, modellisti, rilevatori, esperti di tecnologia dei trasporti, di ticketing e tecnologie informatiche, di sociologi, esperti di genere e disabilità (il ruolo delle donne nel trasporto pubblico è di rilevante importanza) esperti di AI e di sicurezza stradale. E quindi sarebbe necessaria una vasta e profonda e strutturata audizione e partecipazione di enti, ong, imprese, istituzioni per costruire un modello di mobilità e di trasporto pubblico che sia il “ sistema di trasporto modenese” integrato al sistema regionale e non un modello teorico imposto
Ma ci vogliono soldi! Allora si inizi revocando l’appalto della sosta ai privati partendo dallo sciagurato Project Finance del parcheggio del Novi Sad di cui tutta Italia ride che sembra l’esempio da manuale di come non lo si sarebbe dovuto fare, ovvero di come il pubblico abbia calato brache e mutande al privato nella gestione dei parcheggi urbani, al quale si è poi aggiunto il parcheggio interrato di Via Peretti all’AMCM, giusto per attrarre più traffico possibile a ridosso del centro storico, rovinando la qualità della vita ai residenti invece di prevedere parcheggi periferici serviti da trasporto pubblico e ciclabili. Mentre quasi tutte le città (europee ed italiane) usano il ricavato del parcheggio per finanziare il trasporto pubblico e la mobilità urbana in genere, Modena ha trovato il modo di finanziare i privati senza avere nulla in cambio. Che, se la municipalità dovesse finalmente praticare una politica della sosta favorevole alla mobilità pubblica e non motorizzata, dovrebbe anche pagare penali. Come Autostrade d’ Italia sta a Benetton.

Gigetto

La questione “Gigetto” è dentro il quadro complesso della mobilità (non dico più sostenibile che mi pare un aggettivo talmente svenduto che si è usata anche per sostenere la rigenerazione urbana meneghina e modenese – vedi ex AMCM), volerla affrontare isolatamente sarebbe l’ennesimo errore. È anche su questi temi che spero che la nuova amministrazione adotti comportamenti innovativi, virtuosi e coraggiosi. Se non ora, quando?
Insomma, quel che ci voleva e ci vuole è una città dove urbanistica e mobilità suonano lo stesso spartito. E non si dica ancora una volta che mancano soldi: questi mancano sempre per definizione a tutte le città del mondo.
E poi la qualità dell’ambiente urbano: possibile che negli ultimi trenta anni, belle piazze, slarghi, fontane, opere d’arte, monumenti, una particolare illuminazione sulle tantissime arterie ed aree della periferia più o meno recente non sia stata messa in essere? Neanche panchine nei viali e nelle radiali, quando per favorire la mobilità pedonale ce ne vorrebbe una ogni 400 metri? Illuminante sarebbe un confronto di quanto speso nel centro storico con quello nelle periferie più o meno recenti negli investimenti di “beautification” e si scoprirebbe il divario assoluto tra centro ricco e periferia povera.
Insomma, perché nel Nord Europa e non solo, le città sono riuscite negli ultimi 20 anni a coniugare armonicamente mobilità e urbanità mentre Modena che ad ogni piè sospinto si definisce “europea” è ancora così lontana dalla qualità urbana nonostante la ricchezza materiale e sociale di cui si dispone?
Lorenzo Carapellese – Urbanista
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