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Un’offesa a Modena, un oltraggio alla Repubblica, uno sfregio alla storia

Un’offesa a Modena, un oltraggio alla Repubblica, uno sfregio alla storia

Ricordare Francesco IV significa, inevitabilmente, ricordare anche ciò che fece: e tra tutto, il suo nome resta legato soprattutto al martirio di Ciro Menotti


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C’è un limite oltre il quale la memoria pubblica smette di essere un atto di cultura e diventa un atto di prevaricazione. La scelta di apporre una lapide dedicata a Francesco IV d’Este sul Palazzo Ducale di Modena – oggi sede dell’Accademia Militare, una delle istituzioni più prestigiose della Repubblica – oltrepassa quel limite, trasformandosi in un vero insulto al senso della storia, alla coscienza civile della città e all’identità repubblicana del Paese.

Il Palazzo Ducale non ha bisogno di orpelli nostalgici. È già un simbolo della continuità dello Stato, un luogo che ospita la formazione degli uomini e delle donne chiamati a difendere la Repubblica, la Costituzione, la libertà. E proprio per questo quella lapide stride, stona, offende. Perché celebra un sovrano che rappresenta l’esatto contrario di quei valori: la difesa dell’assolutismo, l’ostilità verso l’unità nazionale, la repressione violenta di ogni aspirazione alla libertà.

Ricordare Francesco IV significa, inevitabilmente, ricordare anche ciò che fece: e tra tutto, il suo nome resta legato soprattutto al martirio di Ciro Menotti, patriota modenese, simbolo luminoso del Risorgimento, impiccato per volontà diretta del duca.
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Apporre oggi una lapide celebrativa del carnefice nella città del patriota non è solo un errore: è uno schiaffo alla memoria collettiva, alla dignità dei modenesi, a tutti gli italiani che si riconoscono nel percorso storico che conduce dal Risorgimento alla Resistenza e dalla Resistenza alla Repubblica.

Come repubblicani, e come mazziniani, avvertiamo ancora più forte l’obbligo morale di difendere la verità storica. Perché Mazzini ci ha insegnato che “la storia è il giudizio dell’umanità su se stessa”, e che tradirla significa tradire non solo il passato, ma il futuro che da esso discende. Il mazzinianesimo non è solo una tradizione culturale: è un dovere civico, un impegno verso la libertà, la dignità e la responsabilità collettiva. È un monito costante a non confondere mai chi ha servito la causa dell’Italia con chi l’ha osteggiata.

Come repubblicani, non possiamo accettare questa deriva. Non possiamo tollerare che in un’epoca già attraversata da revisionismi pericolosi, da riletture accomodanti delle ombre della storia, si aggiunga un tassello che confonde il carnefice con la vittima, il tiranno con il patriota, l’oppressore con il liberatore. Ancora meno possiamo accettare che tutto ciò avvenga nel totale silenzio del governo, che nulla fa per arginare queste operazioni di riscrittura simbolica, sempre più diffuse e sempre più ambigue.

La storia non è un’arena dove ogni potere di turno può riscrivere il passato per tornaconto politico o nostalgie fuori tempo massimo.
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La storia è un patto di verità, ed è un dovere civico custodirla. Chi oggi sceglie di onorare Francesco IV non compie un atto di cultura: compie un atto di amnesia, o peggio ancora di complicità.

Come ricorda la verità storica, il Ducato di Modena non fu affatto  “uno degli antichi Stati che diedero vita nel 1861 al Regno d’Italia”. La verità storica è invece limpida: Francesco V d’Asburgo-Este, fedele agli austriaci e ostile all’unità nazionale, fu scacciato nel 1859 da un’insurrezione popolare animata dalle donne e dagli uomini di Modena e dei territori sottoposti al dominio estense, sostenuta dall’avanzata dell’esercito piemontese e dalla vittoria della battaglia di Magenta nella Seconda Guerra d’Indipendenza.”


Modena e l’Italia meritano di meglio. Merita di più la memoria di Ciro Menotti, che ha dato la vita per un Paese libero e unito. Merita di più l’Accademia Militare, che forma cittadini in armi al servizio della Repubblica. Meritiamo tutti di più, noi che crediamo ancora che la storia non sia una faccenda negoziabile, ma il fondamento stesso della nostra identità civile.

Non si costruisce il futuro tradendo il passato.


E allora lo diciamo con chiarezza, da repubblicani e da mazziniani: la memoria non si baratta, la dignità non si negozia, la storia non si capovolge.
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Se oggi qualcuno tenta di riportare in onore chi frenò l’Italia, noi continueremo a onorare chi la fece nascere. Se oggi si vuole dare lustro ai simboli dell’oppressione, noi continueremo a custodire le radici della libertà.

Se oggi si prova a riscrivere il passato, noi continueremo a difendere il futuro.

Perché il futuro appartiene a chi lo genera, non a chi lo avrebbe negato. E la Repubblica, la nostra, figlia del Risorgimento e della Resistenza, non celebrerà mai i suoi avversari, ma solo i suoi costruttori. Questo è il nostro impegno di Repubblicani,  il nostro dovere di Mazziniani, il nostro lascito di Cittadini.


Eugenio Fusignani, segretario regionale PRI Emilia-Romagna

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