Devianza giovanile a Modena: giusto fotografare la complessità, ma dopo l'analisi serve il coraggio di cambiare
Il passo in più è quello del distacco da ogni 'casa madre', dai propri mondi di riferimento, per tentare di guardare davvero la realtà per quella che appare
Nella sua analisi di oggi - in scia a un suo intervento al Festival della Migrazione - ripropone una tesi simile, approfondendola però con maggiore cura. Mezzetti insiste nell'invito a capire 'perché ci sono ragazzi che usano violenza verso i loro coetanei, senza rubare nulla ma solo per il gusto di picchiare oppure provano soddisfazione a distruggere beni pubblici' e invita ad 'ascoltare il rumore sordo che proviene da questi ragazzi' perchè 'chi amministra ha l'obbligo di misurarsi con questa realtà' e 'limitarsi ad affermare che l'integrazione è fallita significa creare ghetti'. Parallelamente evoca il rispetto di 'diritti e doveri' e ammette gli 'errori che le politiche di accoglienza hanno fatto in Italia'.
Visto quanto il tema è delicato e scivoloso, va innanzitutto riconosciuto al sindaco il coraggio di insistere in un approccio che provi a tener conto della complessità senza abbandonarsi a facili slogan. Dire che i giovani stranieri che compongono molte baby gang di Modena vanno 'ascoltati' è un concetto che certamente non attrae consensi e il fatto che il primo cittadino non smetta di lanciare questo invito significa che la sua è una convinzione che va ben oltre la voce dal sen fuggita e che per difendere la quale è pronto a incassare critiche senza appello (in particolare in quella arena purtroppo spesso mal utilizzata che sono molti social).
Una convinzione, quella di Mezzetti, rispetto alla necessità di analizzare il contesto sociale dei carnefici, che peraltro non esclude l'attenzione e la solidarietà verso le vittime. Perchè la complessità significa proprio questo: sfuggire dal bianco e nero.
Non solo, indubbiamente l'analisi del sindaco che si sforza di fotografare le pieghe del reale superando preconcetti ed etichette, non solo è coraggiosa, ma è forse l'unica strada per trovare qualche tipo di soluzione che non sia quello sterile approccio muscolare di una opposizione che quando diventa maggioranza si comporta esattamente nello stesso modo di chi criticava (lampanti le cifre legate agli sbarchi o al decreto flussi, sostanzialmente uguali indipendentemente dai colori dei Governi in carica).
Detto questo, il passo ulteriore che nelle parole di Mezzetti si intravede solo in controluce, è quello del cambiamento. Dopo aver giustamente analizzato la genesi delle violenze, dopo aver invitato a capire cosa vi è dietro a questa ingiustificabile violenza, occorre mettere in campo azioni concrete diverse rispetto al passato, rischiando di rompere anche coi propri mondi di riferimento. Se capire non significa giustificare, ma significa sforzarsi di fare una diagnosi, ecco allora è tempo che dalla diagnosi della malattia si passi alla sua cura.
E' vero, le disparità sociali esistono, è vero davanti ai flussi migratori semplicemente non vi è alternativa alla integrazione, è vero la re-immigrazione è semplicemente l'utopia di chi pensa di svuotare il mare col secchiello, tutto vero.
Ma quindi che si fa?
Se il sistema di accoglienza ha commesso errori, allora è tempo di chiamarli col loro nome, è tempo di fare il nome delle società (cooperative e non) che spesso lucrano sul problema senza apportare miglioramenti nella realtà, è tempo quantomeno di ammettere con semplicità che il legame tra immigrazione e criminalità è reale e non va sottovalutato, è tempo di fare pulizia di un politicamente corretto che per replicare all'approccio grezzo e muscolare dei 'basta immigrati' eleva gli immigrati stessi a paladini del nuovo ordine mondiale e che chiama 'festival' un evento a senso unico.
Certo, tutto questo non basta per risolvere il problema (ammesso vi sia una soluzione vera), ma forse aiuta ad avvicinarsi in qualche modo a un barlume di verità.
Essere 'di sinistra' come legittimamente Mezzetti rivendica, non preclude affatto questo tipo di approccio, questo scatto in più. Un approccio culturale lontano da ideologie in scatola che - peraltro - è nelle piene competenze di un primo cittadino. Certo, così facendo si perde la sponda politica e - dopo essersi attirati le critiche di chi ragiona per facili slogan - si perde anche il consenso di chi - viceversa - usa l'eccesso di analisi per mettere le braghe (ovviamente del proprio colore) al mondo.
Insomma, si resta senza protezione e, oggettivamente, non è facile, ma forse, è in questo sforzo, in questo ulteriore moto di coraggio che si passa dal lodevole studio della complessità, al concreto distacco da ogni 'casa madre' per tentare di guardare davvero la realtà (parola per sua natura mai del tutto afferrabile) per quella che appare.
Giuseppe Leonelli
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