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Nel Deserto di Giuda sono stati scoperti alcuni siti contenenti manoscritti molto antichi, primo dei quali quello di Qumran nel 1947. (…) Via via che i manoscritti venivano reperiti e trascritti, gli studiosi avevano già posto, con prudenza, delle ipotesi sulla loro origine. Nei primi anni di lavoro le teorie sugli autori di questi scritti sono state molto diverse l’una dall’altra e spesso anche contraddittorie, soprattutto riguardo alle opere sconosciute. Negli anni la scienza paleografica applicata ai manoscritti di Qumran ha raggiunto un grado di certezza molto alto, suffragato poi anche da conferme di tipo fisico come il Carbonio 14 e nuove tecniche di laboratorio più sofisticate. Per cui oggi la datazione di questi testi è ormai fuori discussione: a Qumran sono stati trovati testi scritti tra il III secolo a.C. e il I d.C. Ciò significa evidentemente che non sono frutto di un unico gruppo.
Ora si può asserire che ci sono stati, in un determinato periodo storico, gruppi di fedeli che hanno reputato gli scritti realizzati prima della loro formazione come autorevoli e che, di conseguenza, dovessero essere custoditi e studiati. Non si tratta solo di testi biblici, ma anche di testi provenienti da una tradizione che oggi è stata denominata come enochica.
Di questo tema si parlerà domani, venerdì 25 febbraio, alle 17.30 al Teatro San Carlo di Modena in una conferenza con il professore Giovanni Ibba, docente di Ebraico presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale di Firenze e direttore editoriale di «Egeria. Rivista di scienze religiose».
Chi fossero le persone che hanno avuto così cura di tutta questa letteratura, che praticamente comprende quasi tutta la produzione del pensiero giudaico fino al I secolo a.C. e anche qualcosa del I secolo d.C., non è dato saperlo con certezza.
Sicuramente a Qumran non sono state rinvenute opere che si possano collegare direttamente a correnti di pensiero come quella dei sadducei o dei farisei o, tanto meno, dei cristiani. Secondo quanto è stato accertato, si può comunque dire che in base a certe opere trovate nelle grotte, come la Regola della Comunità o il Documento di Damasco, ci dovevano essere gruppi di fedeli che in qualche modo si avvicinavano al pensiero degli esseni, almeno per quanto ne sappiamo dalle testimonianze di Plinio, Flavio Giuseppe e Filone Alessandrino. L’ipotesi oggi più accreditata è quella detta di Groningen, che spiega come coloro che oggi chiamiamo per comodità “qumranici” appartenevano originariamente al movimento degli esseni, il quale era molto vasto e dal quale si sarebbero resi in qualche modo autonomi. Gli esseni si sarebbero infatti costituiti in Palestina molto prima della nascita del gruppo, o dei gruppi, di fedeli che poi si sono insediati nei pressi di Qumran. Oggi si parla, per tale motivo, di «essenismo qumranico».
Dopo aver illustrato il complesso degli scritti ritrovati a Qumran (III sec. a.C. - I d.C.), la conferenza approfondirà le concezioni antropologiche e teologiche che da essi emergono: natura del male, contrapposizione tra luce e tenebre, natura del patto con Dio, figura del Maestro di Giustizia.
Stefano Soranna
Redazione Pressa
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