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Roberto Malandrino e Paolo Maria Veronica sono amici da sempre, da subito, negli anni della scuola a Novara, hanno cominciato a condividere il palco per divertirsi e far divertire gli altri; di lì a breve le serate al Derby di Milano, il tempio del cabaret, tanta TV, RAI e Mediaset, il teatro, con alcuni titoli cult, e gli spettacoli insoliti e sperimentali, comici veri dotati di grande creatività; insieme a Francesco Russo li abbiamo incontrati a Bologna per un'intervista, i racconti di una vita artistica e di amicizia insieme e tante, tantissime risate.
Partiamo dalle origini, come nasce la vostra collaborazione e cosa vi ha fatto venir voglia di fare il mestiere di attore?
V: Io fin da ragazzino ero appassionato di teatro, quello classico; avevo però un'indole più 'burlona', con Roberto eravamo molto amici, frequentavamo la stessa scuola e un giorno gli ho detto, se sei mio amico vieni con me a fare il comico e lui accettò. Abbiamo iniziato come tutti a fare spettacoli per bambini, i clown e il teatro di strada. Abbiamo fatto la vera gavetta e così iniziato col cabaret nei locali, quelli dove ti tirano di tutto.
Quali furono gli episodi che vi convinsero ad andare avanti e a non mollare?
M: L'anno cruciale fu il 1982, eravamo in giro a sperimentare le nostre cose e poi qualcuno alla RAI ci notò, Guido Sacerdote, che istituì un concorso Volti nuovi per il cabaret, lo vincemmo noi e Fabio Fazio che faceva l'imitatore. Da lì è iniziata la nostra esperienza con la RAI che ci portò a fare delle cose veramente belle.
Iniziammo con Loretta Goggi nel programma Loretta Goggi in quiz.
Avete avuto una madrina davvero importante.
V: Fantastica, con lei poi è nato un sodalizio, abbiamo fatto Canzonissime e Ieri, Goggi, domani.
Un'altra esperienza fondamentale è stata poi quella del Derby.
M: All'inizio eravamo insieme anche ad altri ragazzi che si erano appassionati e decidemmo di andare al Derby; ci mandarono sul palco e andò male, l'anno successivo tornammo solo noi due, salimmo sul palco e il pubblico iniziò a ridere e arrivò il contratto, ci esibivamo tutte le sere dal martedì alla domenica. Ci siamo fatti davvero le ossa, dovevi lavorare sempre, sia che ci fossero 4 persone o che ce ne fossero 100; è stato poi un luogo di grandi incontri, Giobbe, Enzo Iacchetti, Paolantoni e Sarcinelli, amici con cui abbiamo condiviso i momenti più belli della nostra vita.
Era una grande Milano.
Parliamo dei vostri spettacoli teatrali.
V: Dopo le prime esperienze, abbiamo iniziato con gli spettacoli più da cabaret strizzando l'occhio al teatro 'ufficiale'; all'epoca pensavamo che ci dovesse essere maggiore apertura al teatro di risata.
Arrivate a Bologna, come mai e quale fu la prima impressione.
M: A Bologna eravamo già stati perché avevamo lavorato per il Black Shadow, un vecchio night, facevamo cabaret tra le spogliarelliste. Lo sbarco ufficiale fu nel 1991, in città c'era un gran fermento, l'assessore Sinisi organizzò Bologna sogna, una serie di appuntamenti per l'estate; ci destinò ad un cortile, Daniele Sala, regista dell'evento, siccome ci aveva visto interpretare Padre Buozzi e Marcolino, ebbe l'idea di fare il cortile della parrocchia; fu un successo enorme; l'anno dopo ci portò al Puccini comic horror show, mille persone a sera; venivano in città molte persone da fuori perché si era sparsa la voce che a Bologna stavano avvenendo cose davvero belle. Poi il Ruvido, e spettacoli come Il risveglio di Re Tamarro e Il ritorno del Re Tamarro. A Bologna il pubblico ci ha dato davvero tanto, persone che ci seguono sempre e ci danno tantissimo calore.
Negli anni '90, terminati gli spettacoli, c'erano locali a Bologna che frequentavate?
V: Con Daniele Sala iniziammo a frequentare l'osteria Le Mura, per dieci anni è stato il nostro covo, ma non solo per noi, era il luogo di ritrovo per tantissimi artisti; ricordo Gianni Cavina, Vinicio Capossela, Diego Abatantuono, Stefano Accorsi, delle serate fantastiche.
Lavorare per quarant'anni, insieme, in vari settori, qual è il segreto?
V: Una delle cose fondamentali è che io volevo lavorare con un amico, lavorare da solo mi mette tristezza, riuscire a condividere con qualcuno tutti i momenti più belli, quelli più divertenti. Sono attimi per cui vale la pena fare questo lavoro, ogni problema si supera.
Stefano Soranna