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Quando nel 2018 la giuria scelse fra le dieci concorrenti la città emiliana, e in lizza c’erano pure Piacenza e Reggio Emilia, con le quali Parma aveva stretto una intesa indipendemente dal vincitore, trasformata poi in un alacre lavoro di squadra, la giuria motivò così la vittoria: «Per l’elevata qualità nella progettazione territoriale a base culturale. Capacità di attivare e coordinare un sistema molto complesso di soggetti, su base territoriale estesa con un forte, attivo coinvolgimento dei privati e delle imprese, una stretta relazione con il mondo della università e della ricerca, della cultura e del welfare. Un rapporto consapevole tra rivitalizzazione urbana, integrazione sociale e produzioni culturali puntando all’attivazione di distretti; un sistema di offerta culturale di ottimo livello con esplicita attenzione ai giovani, all’integrazione tra discipline artistiche a partire dalla tradizione musicale; una forte capacità di infrastrutturazione culturale, di gestione dei sistemi di accoglienza e della attrattività in vista della sostenibilità complessiva».
La manifestazione prorogata a tutto il 2021 è ripartita da poco dopo lo stop forzato causato dall’emergenza sanitaria, con le opportune cautele, e l’articolato programma culturale, sintetizzato nella motivazione della giuria, si presta ad alcune considerazioni. Quello di Parma è un lungimirante “programma politico” che l’amministrazione retta dal sindaco Pizzarotti ha avuto il coraggio di ideare, dal grande potenziale che guarda lontano, che ha tracciato una prospettiva delineando un futuro sviluppo della città e dei suoi cittadini, rendendolo concreto nel partecipare al concorso come - capitale della cultura italiana - e vincerlo. Un programma che solo in minima parte l’attuale giunta ruiscirà a realizzare nel biennio 2020/21 e non soltanto perché frenato dalla situazione del Covid-19, è talmente grandioso, intrecciato con tutte le realtà della comunità parmense, è, di fatto, un programma di “governo” di una grande lucidità, visione e qualità progettuale, “l’eredità di Parma 2020“ impegnerà nella sua completa realizzazione diverse e future amministrazioni della città.
Inoltre, è singolare che Simone Verde, autore del saggio “ Cultura senza Capitale”, 2014 (una coraggiosa indagine storica alle radici dello Stato culturale, contro gli stereopiti e i pregiudizi responsabili della crisi italiana), storico dell’arte e direttore dal 2015 del Palazzo della Pilotta, che sta facendo cose molte interessanti e di notevole valore come la mostra sul design di Fornasetti, si ritrova a essere un attore autorevole in una temporanea e simbolica “Capitale della Cultura nazionale“. Il limite da transitorio si tramuta in realtà tangibile, perché Parma, come simbolo della nostra Bella Italia che sa concepire progetti intorno al sapere, all’arte e al patrimonio architettonico, intrecciati di idee e visioni, nuove e diverse, ha scommesso su stessa mettendosi in gioco scuotendosi dall’immobilismo della bolla autoreferenziale tipica di tante città ex capitali di stati preunitari, raccogliendo la sfida che l’autore lancia alla fine della sua acuta analisi. La città ha attribuito e restituito alla Cultura una chiara missione collettiva, la sua utilità e ragion d’essere secondo il dettato Costituzionale, facendone la spina dorsale e baricentro della sua azione di governo, cosa che nazionalmente andrebbe copiato. Di converso si assiste al continuo bistrattamento operato da una classe dirigente in crisi e alla ricerca di una identità, rappresentata da politicanti improvvisati. Il disegno di Parma 2020, a chiare lettere ci conferma che la nostra Carta Costituzionale in tutti i suoi articoli è ben lontana dall’essere superata e ancora meno bisognosa di riforme che limitano le libertà civili, anzi è il momento di rivendicare con forza i valori e i principi democratici e il potenziale ancora inespresso.
Franca Giordano