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Pia Pera: al giardino ancora non l'ho detto

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Il libro non parla soltanto di botanica e di tecniche culturali, è il racconto del suo apprendistato con la terra


Pia Pera: al giardino ancora non l'ho detto
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Una bella e interessante iniziativa in programma domani sera alle  21 presso l’Orto Botanico di Modena-ingresso dai Giardini Ducali. Si terrà il reading de Il Leggio, la lettura teatralizzata a tre voci, i brani di prosa tratti dal libro e memoir di Pia Pera “Al giardino ancora non l’ho detto “, troveranno il loro completamento ideale nelle poesie di Emily Dickinson, di cui l’autrice scomparsa nel 2016, colpita dalla SLA, dichiara di condividere lo sguardo sul mondo. E non c’è posto più indicato come la Bellezza di un giardino per questo omaggio alla scrittrice e giardiniera .

Pia Pera, eccellente traduttrice di autori russi, scrittrice e apprendista giardiniera, arriva al grande pubblico con il suo “ L’orto di un perdigiorno”, Ed.Ponte alle Grazie ,Milano 2003,  premiato con il Grinzane Cavour.

  Il libro non parla soltanto di botanica e di tecniche culturali, è il racconto del suo apprendistato con la terra, attraverso riflessioni letterarie,  a seguito della decisione di prendersi cura di un podere con casa colonica, eredità familare in provincia di Lucca, dove aveva vissuto da bambina. Scoppia con il ritrovato luogo della sua prima infanzia la scintilla della fascinazione, l’inizio di una nuova passione, il giardinaggio. Completamente analfabeta,  nel senso : non sa fare assolutamente niente. Nulla sa di terra e piante, di fiori, di ortaggi. Non si perde d’animo, ansiosa di imparare ,aiutata da nuove amicizie che le trasmettono la loro esperienza, studia, sperimenta, coltiva, è premiata dai risultati, il podere si trasforma in un paradiso. Ritorna a essere  “giardino “. Letteralmente. La parola viene da una radice iranica che ha proprio questo significato.

Il podere inselvatichito ,rinasce, rifiorisce con le cure costanti della scrittrice, mai invasive, ma rispettose dei cicli di madre natura, prende forma nel tempo come orto/giardino. Il luogo diventa il suo osservatorio particolare, il giardinaggio come espediente : osservare le sue piante a cui dava sempre una possibilità di vivere, di potercerla fare anche precariamente ma a modo loro. Era evidente che scorresse un dialogo anche se silenzioso, fra di loro, del quale la scrittrice si nutriva, la portava a meditare e ragionare su se stessa e sulla natura umana, sul nostro posto nel mondo. 

 

E fa una piacevole riscoperta, stare in mezzo alle piante, agli alberi e ai fiori, vivere secondo natura e i suoi cicli le davano un appagamento e una felicità senza pari, una grande serenità che perdurava nel tempo, e quella inspiegabile fascinazione diventata passione per i campi, per lei è una grande tela sulla quale dipingere, un quadro dove ha continuato a dipingere fino all’ultimo momento. Difficile anche a lei stessa spiegare quell’arcano di empatia con il podere, o meglio con l’orto/giardino fatto che la induce, a lasciarsi dietro le spalle in pratica, la vita di prima con le interessanti attività, era così, punto e basta.  «Se vuoi essere felice per un’ora, ubriacati di vino buono, […] se vuoi essere felice per tutta la vita, pianta un giardino» diceva il grande designer e architetto Carlo Scarpa.

 

E così aveva fatto, piantando il suo giardino, venuto su quasi per caso, dove l’intervento di Pia Pera era volutamente nascosto e impalpalbile, dando la sensazione che la natura avesse fatto il suo corso e da sola, infatti non è solo pura natura , è soprattutto cultura, nel senso più ampio del termine. Pia Pera e il suo giardino come hortus conclusus,  che va - oltre le parole - ­ che la sua penna aveva saputo tramutare in luogo di incantata e infinita luce, ne ha fatto il viaggio con la maiuscola della sua vita, trasfigurato nei suoi libri in un luogo meraviglioso, di luminosa bellezza. E vedendolo il giardino era palese a chiunque della altrettanta bellezza della sua traboccante intelligenza. Se c’è un segreto in quella traboccante bellezza, non può che essere nel prendersi cura, nel coltivarsi a vicenda. Dell’arte del giardinaggio «La più effimera delle arti è quella del giardino. Un pittore, uno scultore, un architetto, per non dire un poeta, sono meno inaffidabili verso la loro opera. Creano qualcosa che, almeno in potenza, può continuare a vivere senza di loro » scriveva Pia Pera, e aveva saputo come pochi altri produrre una forma di letteratura. Un banco di prova difficile come tema narrativo quello dei giardini, superato brillantemente da Pia Pera con una tale bravura che il suo angolo di mondo è diventato celebre fra gli appassionati. Cristallizzando diremmo per sempre la sua opera d’arte vivente.

 

Il giardino dell’Orto Botanico parterre d’eccezione per la serata musicale abbinata alla lettura di brani tratti dal suo ultimo libro, il memoir intolato Al Giardino ancora non l’ho detto (Ponte alle Grazie, 2015, premio speciale della giuria del Rapallo-Carige). La scrittrice attraverso un dialogo immaginario con il suo giardino descrive il suo viaggio particolare, prendendo spunto da I have not told my garden yet - poesia in cui Emily Dickinson suggerisce che un giorno il giardiniere non terrà fede al suo appuntamento - è un racconto dalla scoperta della sua malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, al suo lento ma inesorabile finale.  Cambia il rapporto col giardino, non riesce più a occuparsene come prima, e aumenta l’empatia simbiotica con esso. Ormai consapevole che come una pianta, è impotente e in balia delle intemperie, similmente appassisce, si secca e muore, perde dei pezzi. E d’altronde la malattia l’aveva immobilizzata «trasformandola in una pianta»,  così diceva lei stessa con lucidità e ironia. Si riconosce indifesa e altrettanto mortale. Da questa identificazione scaturisce un sentimento di fratellanza, di solidarietà col giardino. 

 

Non c’è spazio in questo libro per le note botaniche o per le riflessioni letterarie tematiche, sulle piante e sugli orti come nei precedenti: è un libro che, non regala nessun toccasana, non c’è nessuna saggezza in pillole, non nasconde la malattia e la sofferenza. Nonostante tutto ciò Pia Pera ci regala quella grande serenità, che ha trovato e di cui si è nutrita per anni coltivando il suo giardino, in un’ottica di rispetto e collaborazione a volte con risultati ineluttabili, rispondenti solo alle leggi di madre Natura, che Pia Pera aveva ben compreso. Il giardino diventa lo specchio riflettente della malattia, soffrono ambedue, si ascoltano, parlano, Pia Pera racconta dell’iter sanitario, di quello che le accade, dei pensieri che si affollano nella sua testa, di tanto che le ritorna in mente soprattutto la notte. E tutto ciò la rende meno sola di fronte al dramma, si fa strada in lei a poco a poco, che si è parte di quel senso di equilibrio precario regolato dalla Natura, accettando infine “ che si è solo qualcosa di indefinito e piccolo, un puntino nel paesaggio”.

Ormai parte integrante del giardino. Questo sentire è la narrazione davvero memorabile di Al Giardino ancora non l’ho detto . È un libro di quelli che lasciano il segno.  Un libro «splendido», meravigliso, di quelli che vivono di luce propria , si impongono diventando delle guide , e come dei maestri ci insegnano la forma pensiero. Il tutto raccontato nonostante l’immane tragedia,  reale e non inventata con soave leggerezza e serenità che Pia Pera ha regalato ,sempre.

 

Breve Biografia 

Collaboratrice delle pagine della Domenica, l’inserto del Sole 24 ORE, era autrice di opere di narrativa e saggistica, oltre che di traduzioni, per lo più dal russo. Esordisce con La bellezza dell'asino (Marsilio, 1992) - alla cui riedizione arricchita stava lavorando - raccoglie cinque racconti che con rara profondità esplorano la natura umana e i rapporti sociali a partire dall'eros, un tema in cui si avventura nuovamente nel romanzo Diario di Lo (Marsilio, 1995), tradotto in molte lingue.

Nel saggio sulla storia delle idee in Russia I Vecchi Credenti e l'Anticristo (Marietti, 1992), originatosi dalla sua tesi svolta a Mosca, riflette sui Vecchi credenti e la loro negazione del mondo. Su questo argomento ha anche curato e tradotto La vita dell'Arciprete Avvakum (Adelphi, 1986). Altri classici della letteratura russa sono stati dai lei curati e tradotti - tra questi Evgenij Onegin di Puskin (Marsilio, 1995), Un eroe del nostro tempo di Lermontov (Frassinelli, 1996) - oltre a Il giardino segreto di Frances Hodgson Burnett (Salani), di cui ha realizzato anche una trascrizione teatrale con Lorenza Zambon.

Tra i suoi libri si ricordano L'orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano (Ponte alle Grazie, 2003) che nel 2003 ha ricevuto il premio Grinzane Cavour, Contro il giardino (Ponte alle Grazie, 2007), Il giardino che vorrei (Ponte alle Grazie, 2015).

Franca Giordano

 


Redazione Pressa
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