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Crediamo che nell'annuncio del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla decisione di procedere, per decreto (l'undicesimo che verrà varato domani), allo stop delle imprese che producono beni e servizi non essenziali e di pubblica utilità, siano più le cose non dette (e che era auspicabile sentire), che quelle utili dette.
Quelle che ci saremmo aspettati per auspicare un cambio di rotta e di approccio capace di dare discontinuità, sul fronte epidemioiogico, a quella serie di provvedimenti adottati fino ad oggi, e dall'inizio dell'emergenza, a pezzi e bocconi, a piccoli passi, a macchia di leopardo e facendosi sempre superare (come successo anche ieri sera dalla Lombardia e dall'Emilia), dai provvedimenti delle regioni. Che detta così, fornisce davvero l'idea di uno scollamento preoccupante tra governo e regioni. Non possiamo dimenticare che sono 10, e domani diventeranno 11, i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che si sono susseguiti in queste ultime settimane.
Che hanno aggiunto restrizioni a restrizioni a piccoli passi, che spesso si sono accavallati con quelli di regioni, appunto, ed enti locali. Provvedimenti che, purtroppo, non stanno iniziando a dare, come gli stessi governatori si aspettavano, (e di questo passo per lo stesso motivo, forse non daranno), alcun positivo risultato.
Così come non c'è stato, insieme all'annuncio dello stop alla produzione di decine di migliaia di aziende giudicate non utili per i bisogni ed i servizi da garantire al paese, anche solo un annuncio su politiche di sostegno alle imprese costrette a chiudere. Per non farle chiudere, davvero, in breve, se le nuove misure, come prevedibile, perché frutto di una mera estensione al resto d'Italia di misure adottate in ritardo e con scarso risultato al nord, non dovessero, come probabile, dare risultati soddisfacenti.
Aiuti che devono richiedere uno sforzo immediato, anche nei decreti attuativi, per andare ben oltre ai 25 miliardi stanziati fino ad ora.
Così come non c'è stato alcun accenno ad un cambio di rotta rispetto agli strumenti scientifici, basati sull'analisi epidemiologica, che fino ad ora sono stati adottati, o non adottati (come specificato anche ieri sera dal Prof. Galli, Infettivologo dell'Ospedale Sacco di Milano su Rai 3), per limitare i contagi fin da subito. Contagi che al contrario, ad oggi, sembrano fuori controllo.
Al punto che questa sera, negli illuminanti interventi dei professori Galli e Ricciardi (su Rai 3), si è avuta anche la conferma che il modello Corea (dove il contagio, su una popolazione da 50 milioni, è stato bloccato da protocolli ferrei che hanno previsto l'aggressione massiva di tutti i focolai con l'individuazione e l'isolamento dei soggetti positivi ed il monitoraggio altrettanto massivo degli spostamenti attraverso la rete cellulare), qui, in Italia, a questo punto di esplosione del contagio, sarebbe difficile, se non impossibile, applicare. Se non in quelle zone del sud non ancora critiche, in cui le aree di maggiore contagio sono ancora identificabile, e dove applicare il metodo in un contesto ristretto e controllato di focolaio. Un pò, anche se il paragone è stato giudicato non compatibile, come è successo con Vò, il paese del veneto dove attraverso una mappatura capillare, si è riusciti a fermare la diffusione del virus
Ed è così che l'unica via italiana (che incredibilmente viene osannata dall'esterno nonostante il record assoluto di contagi, ricoverati e morti al mondo), sembra quella di rimanere nel limbo dei provvedimenti inefficaci, resi solo più restrittivi, soprattutto sulla carta, nonostante gli enormi sacrifici chiesti agli italiani e alle imprese. Quelle che dovrebbero servire per evitare il più possibile i contatti tra le persone.
Continuando però (e qui riprendiamo le considerazioni ripetuti da esperti), a non fare tamponi al di fuori degli ospedali e delle strutture sanitarie, lasciando migliaia di persone anche sintomatiche nel limbo dell'incertezza ma nella certezza di potere girare e contagiare inconsapevolmente, e lasciando le persone asintomatiche, ma potenzialmente positive, di fare altrettanto. Continuando a contagiare in famiglia e nelle fabbriche, non meno di prima.
Il caso di Nicola Porro, da lui stesso annunciato poche ore fa, è emblematico. Positività al Coronavirus, cinque giorni di febbre, altri cinque senza sintomi, pronto a concludere la quarantena e a rincontrare la propria famiglia, ma nei confronti del quale è arrivata, ieri pomeriggio, la conferma della nuova positività. Quanti sono coloro che a Modena ed in regione hanno superato a casa l'infezione del virus come una normale influenza, e che, a differenza di Porro, consapevole di essere positivo, non sanno di esserlo? Quante persone così, nelle scorse settimane sono uscite, sono andate al lavoro, a fare la spesa, hanno preso l'autobus? E quante continueranno a farlo anche oggi e la prossima settimana? Tante, tantissime stando alle segnalazioni di chi questo tipo, che ognuno può verificare anche solo nelle cerchia dei propri amici e delle proprie conoscenze. Per questo del discorso di Conte preoccupa non tanto per le cose dette ma soprattutto per quelle non dette.
Gi.Ga.