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Se due anni fa improvvisamente avessero detto agli italiani che per lavorare occorreva un certificato sanitario probabilmente le piazze si sarebbero riempite. I sindacati avrebbero parlato di attacco alla democrazia e i partiti politici avrebbero fatto fronte comune. Non abbiamo ovviamente la controprova, ma certamente questo procedere un passo alla volta verso l'inferno di una discriminazione totale nei confronti di una categoria di cittadini che non ha commesso alcun reato (salvo quello emendabile con una multa di 100 euro per gli over 50) ha provocato una lenta accettazione dell'inaccettabile.
Un passo alla volta i cittadini italiani si sono assuefatti a quello che, con occhio distaccato, appare un orrore indicibile. Un passo alla volta hanno accettato che il green pass potesse essere disgiunto - come ammesso oggi dagli stessi tecnici alla luce dello scemare della pandemia - dalla emergenza sanitaria in sè e divenisse semplicemente uno strumento per imporre a tutti un trattamento sanitario da reiterarsi nei modi e nei tempi decisi dal Governo.
E non importa qui quanto sia effettivamente utile a contenere i casi gravi, tale trattamento, la scienza lo dice e nessuno lo mette in dubbio, ma il tema sociale pesa e nulla ha che vedere col virus. Hanno accettato che uomini di 50 anni, padri di famiglia, mamme, lavoratori statali, poliziotti o insegnanti, venissero cacciati dai luoghi di lavoro. Hanno accettato che i loro figli potessero sorridere e prendere in giro i compagni di classe sprovvisti del lasciapassare e per questo esclusi finanche dal salire su un bus.
Così, con amarezza, assistiamo ogni giorno a scene che hanno dell'incredibile. Imprese che fanno controlli incrociati su dati anagrafici e green pass per cacciare tutti coloro che passano ai 50 d'età, passando sopra a ogni altra stortura, a partire dalla sicurezza sul lavoro. Cittadini che entrando in un negozio pretendono che qualcuno controlli il loro Qr, perchè, accidenti, loro lo vogliono proprio fare vedere.
Vogliono mostrare la loro adesione totale alle regole, vogliono distinguersi da coloro che, sorci inqualificabili, non hanno il passaporto verde. Cittadini che, sapendo di un bar che non controlla tutti, neonati e animali da compagnia compresi, denunciano subito il fatto alle autorità competenti. Cittadini che, il loro codice, lo hanno plastificato e lo tengono appeso al collo come fosse il badge per entrare in fiera. Dimenticando che quella a cui chiedono di poter accedere è la loro vita, non il mercatino dei salumi di una volta.
Impotenti davanti a questa follia collettiva che marginalizza ogni critica e ogni rilievo, tanti sanno bene che un simile scempio sociale grida vendetta. Lo sanno e magari, davanti a un caffè, sorridendo, lo affermano pure. Ma la critica si ferma lì. Il caffè loro lo possono bere, i loro figli a scuola possono andare e il loro lavoro è al sicuro. E gli altri? Sì, il problema esiste, ma in fondo le cose stanno così. Illudendosi che domani non possa toccare a loro, perchè quando una porta si apre, quando i diritti civili vengono calpestati, tornare indietro non è mai scontato. Eppure la rassegnazione vince, mica si può cambiare il mondo. Ma a furia di pensare che il mondo non si cambia, finisce che è il mondo, governato da chi si ostina a chiamare 'democrazia' il suo contrario, a cambiare le menti di ciascuno. Mascherando il Male con le ipocrite vesti del 'meno peggio' e del 'quieto vivere'. Illudendo ciascuno di essere al sicuro e di non avere responsabilità per il precipizio che si è materializzato davanti ai nostri occhi.
Le autoassoluzioni non reggono nè per pulirsi la coscienza nè per fermare la caduta. Siamo davvero tutti coinvolti. Purtroppo.
Giuseppe Leonelli