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Fuori dal cancello dello stabilimento Italpizza, rimossi come sacchi con la forza per consentire l'ingresso dei camion (impedito dall'azienda anche ieri, ancora prima che l'assemblea si trasformasse in picchetto e che la Polizia arrivasse sul posto), i lavoratori Si Cobas. Dentro il cancello dello stabilimento, una schiera altrettanto ampia, se non più ampia, di lavoratori, con indumenti da lavoro, da alimentaristi soprattutto, evidentemente autorizzati, sia dalle maestranze sia dai sindacati (di fatto la Uil che rappresenta 250 lavoratori nell'azienda dove la CGIL non ha agibilità sindacale), a mollare la produzione, e a recarsi nel piazzale, a protestare contro i loro colleghi iscritti ai Si Cobas. Molti dei quali, a differenza loro, dopo il reintegro in azienda seguito all'accordo firmato in Prefettura lo scorso dicembre, dichiaratamente obbligati a pulire bagni, magazzini chiusi da anni, o tetti sporchi, luoghi che nessuno aveva mai visto pulire, soprattutto da operai abituati a maneggiare e a confezionare pasta da pizza, a 15 metri di altezza.
Funzioni riservate solo a loro, soprattutto donne iscritte ai Si Cobas, funzioni ben lontane da quelle che svolgevano prima di essere reintegrate e soprattutto (e ciò che ha reso per loro la situazione inaccettabile), riservate, appunto, solo a loro. Reintegrate ed aderenti ai Si Cobas.
Ed è in quelle scene di lavoratori uniti dallo stesso contratto e dagli stessi diritti ma divisi dalle circostanza dall'appartenenza a diversi sindacati e da un cancello che sembra separare i buoni dai cattivi, che è apparsa nella sua evidenza la già da ieri malcelata strategia da adottare e adottata per smontare la protesta che ancora una volta avrebbe portato Italpizza e le condizioni dei suoi lavoratori al centro della cronaca nazionale: fare passare il messaggio che la protesta di alcune decine di lavoratori è capace di bloccare il passaggio delle merci, i magazzini e quindi la produzione, e quindi il lavoro.
Con la minaccia di farlo perdere a tutti, quel lavoro, e con lo spettro di fare addirittura perdere a Modena l'intera Italpizza. Uno spettro che con diversi canali interni ed esterni è stato fatto arrivare già da ieri alle orecchie dei lavoratori all'interno dell'azienda e a coloro che presto avrebbero iniziato il turno. Con conseguenze immediate. Visto che coloro che ieri sera avrebbero dovuto iniziare il turno notturno sono stati fatti stare a casa con la motivazione che il blocco delle merci (che nel pomeriggio non c'era ancora stato, almeno da parte dei lavoratori in sciopero), aveva causato la mancata alimentazione dei magazzini e quindi il blocco della produzione e la conseguente cancellazione del turno di notte. Così è stato.
Parallelamente l'invito ai lavoratori ad incitare i propri colleghi aderenti ai Si Cobas a smettere la protesta davanti ai cancelli. E così è stato. Perchè alla fine ciò è quello che gridavano i lavoratori all'interno dei cancelli, autorizzati a mollare la catena della produzione per recarsi nel piazzale per inveire contro i partecipanti al presidio esterno. Una volta arrivate anche le televisioni. Nel silenzio assordante delle istituzioni alle quali la proprietà aveva ieri lanciato un appello e degli altri sindacati. Ad oggi CGIL, Cisl e Uil che nel 2015 firmarono, per venire incontro alle difficoltà dell'azienda, il passaggio da due contratti ad uno, il cosiddetto multiservizi dove dentro ci può stare tutto, o quasi, e con minore costo per l'azienda. Quel contratto, che adesso che le condizioni economiche dell'azienda con crescita a doppio zero, proprio come la farina, sono ben migliori, non avrebbe per i Si Cobas più ragione di esistere.
Ed ecco che la scena che vede gli stessi lavoratori delle stesse cooperative, con lo stesso contratto, titolari degli stessi diritti e doveri, ma divisi da un cancello e dalla spaccatura del sindato è capace quasi di fare dimenticare l'oggetto della protesta stessa. In un momento che per questo questo potrebbe essere immortalato come uno dei più tristi della recente storia sindacale della nostra provincia.
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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