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Nel duello delle elezioni regionali il PD perde le Marche, perde voti, e il il Movimento 5 stelle, che di regioni già non ne governava nemmeno una, crolla ovunque. Crolla, letteralmente. In diverse realtà lasciando sul terreno anche i due terzi dei propri voti. Il 3-3 al posto del 5-1 per il centro destra che alcuni annunciavano, ha costituito certo un risultato migliore rispetto alle previsioni per il centro sinistra, ma nel saldo che definisce le caselline rosse e blu delle regioni governate, risulta una seppur contenuta, sconfitta. Che vede il rosso sempre più ridotto.
E, si badi bene, a perdere non sono solo, singolarmente, le due forze di governo nazionale, PD e M5S. Perde anche, bocciata dagli elettori, la stessa alleanza tra le due. Quella che oggi, appunto, guida il Paese.
Il caso Liguria, dove l'agognata intesa si era formalizzata, ha visto, nei voti di lista, il PD perdere il 5% ed il M5S il 14%. E il candidato uscente di centro-destra Giovanni Toti, vincere. Con un buon margine. Anzi, il PD perde di meno o va maglio dove non si allea con i 5 stelle.
Un messaggio politico chiaro anche per l'alleanza di governo nata dall'interesse di potere (e oggi cementificata dalla possibilità di gestire le risorse del recovery fund), che da un anno guida il paese. Ma che si tradurrà, nella migliore tradizione italiana, nell'applicazione del suo esatto contrario.
Perché anziché sfilacciarsi e trarre le conseguenze dell'essere sì ancora maggioranza in parlamento ma di non essere più di gran lunga maggioranza nel paese, l'alleanza di governo si cementificherà.
Non solo per la necessità, soprattutto del Movimento 5 stelle, di essere obbligato a governare per non sparire (visto che sui territori il M5S sembra avere più che dimezzato i propri voti e non governa, nemmeno in alleanza, nessuna regione), ma anche perché la vittoria del SI al referendum, che taglierà il numero di parlamentari dalle prossime elezioni, ha tolto anche dai deputati e dai senatori più duri e puri di opposizione, il desiderio e la volontà di fare cadere il governo. Mantenendolo in vita fino al 2023. Consapevoli che una volta perso quello scranno, difficilmente per loro ci sarà la possibilità di riconquistarlo. Una consapevolezza che per i parlamentari di maggioranza è rafforzata dall'ormai certezza che con questi numeri anche il PD, pur nella migliore alleanza di centro sinistra con o senza 5 stelle, non avrà le condizioni per vincere le prossime politiche e governare il paese. In questo senso ritornano 'vere' le parole di qualche giorno fa, dalla festa dell'Unità, del Presidente della Regione Stefano Bonaccini (oggi sconfitto nella sua agognata corsa alla segreteria nazionale, che avrebbe avuto campo libero nel caso di una più pesante sconfitta elettorale del PD guidato da Nicola Zingaretti), secondo il quale con un PD fermo al 20% o sotto e con un Movimento 5 stelle che non governa nessuna regione, non si va da nessuna parte e soprattutto non si vincono le elezioni politiche. Fatto sta che oggi il PD, pur perdente sui territori, vedrà cementificata la compagine di governo nazionale e allo stesso tempo il suo specifico all'interno dell'alleanza con i 5 stelle la cui batosta elettorale non ha altro modo per essere chiamata. Perché la soddisfazione per vittoria del SI ostentata dal sorriso di Di Maio durerà molto meno della consapevolezza di essere stati demoliti nei numeri e di essere aggrappati a Conte, postosi in questi ultimi mesi come possibile vero leader del centro sinistra, per la loro sopravvivenza.
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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