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E’ ormai lontano quel 25 aprile 1945, quando i soldati delle truppe Alleate, da sud a nord, liberarono il nostro paese dalla feroce dittatura nazifascista. Oggi, in un altro 25 aprile, siamo ancora qui a ricordare quegli eventi affinché nessuno dimentichi quei tragici anni. Un promemoria collettivo utile innanzitutto ai più giovani i cui nonni sono nati dopo quel 1945, quindi senza alcun legame diretto con i fatti del Ventennio. Ragazzi per i quali la guerra è soltanto un racconto sentito o letto sui libri di storia. Un ricordo utile dunque per quelle generazioni, ormai tutte, che la guerra non l’hanno vissuta in prima persona.
Ricordo bene quando casa per casa, da bambina, vi era chi, incaricato da non sapevo ancora quale realtà, passava per consegnare le bandiere che poi venivano affisse con i merletti del bucato alla ringhiere dei balconi di casa.
E ricordo ancora quando mio padre, bambino ai tempi di guerra, mi raccontava di ‘Pippo’, il nome con cui venivano chiamati gli aerei da caccia notturna, che sorvolavano in perlustrazione il cielo di casa sua, nelle campagne di Albareto, e di come per lui e i suoi fratellini più piccoli quello si trasformasse in una sorta di adrenalitico ‘gioco’ per spegnere in fretta ogni fonte luminosa e per chiudere tutte le imposte affinché non passasse un filo di luce, non realizzando, non potendolo fare a 5-6 anni, la drammaticità di quei sorvoli.
In questi 76 anni tutto è profondamente cambiato. L’evoluzione economica e tecnologica ha trasformato la quotidianità e le abitudini di tutti e se uno di quei giovani che persero la vita in guerra potesse per un attimo riaffacciarsi a questa vita faticherebbe molto a riconoscere il nuovo mondo.
E faticherebbe molto, rivedendoli oggi, a distinguere i partiti di allora.
E, di fronte a un mondo completamente cambiato, forse è tempo di dare un nuovo valore alla festa della Liberazione per liberarla dalla retorica di vuoto simulacro nella quale è avvolta oggi. Ecco allora che il mio 25 Aprile è assai differente da quello che anche stamattina ho visto in piazza a Modena. Penso a questo giorno come una occasione in cui condividere, al di là degli steccati politici, la fine della guerra e la condanna di ogni conflitto e dittatura. La condanna ferma dell’idea che un popolo possa essere geneticamente superiore ad un altro. Una festa quindi collettiva, inclusiva, il più inclusiva possibile. Vorrei vedere unite, senza alcuna bandiera di parte ma solo quella della nostra nazione, tutte le forze politiche, tutte quelle che si riconoscono in questi principi. Null’altro.
Senza strumentalizzazioni e sovrapposizioni forzate che finiscono per diluire il valore autentico del 25 Aprile, togliendo bandiere di Che Guevera, dell’ArciGay, delle associazioni antimafia, riferibili sempre allo stesso partito. Evitando iperboli che consentano di appicciare l’etichetta di ‘nuova Resistenza’ a ogni fatto umano purché nell’orbita delle forze politiche che si sono (indebitamente) appropriate del significato di questo giorno. Confondendo tutto, snaturando quel 25 aprile del ‘45 e finendo per lanciare un messaggio che va proprio nella direzione opposta rispetto a ciò che la storia ci ha insegnato.
Cinzia Franchini
Redazione Pressa
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