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L'incubo del maggioritario col Parlamento mutilato

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Se si riduce in modo drastico il numero dei parlamentari la logica democratica vuole che si faccia una legge proporzionale per garantire la rappresentanza


L'incubo del maggioritario col Parlamento mutilato
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Otto come i consigli regionali che hanno chiesto il referendum abrogativo della parte proporzionale della legge elettorale, il cosidetto Rosatellum, che diventerebbe così un maggioritario puro. Otto come il giorno di ottobre in cui alla Camera dei deputati si terrà la votazione in quarta (ed ultima) lettura della legge di riforma costituzionale che taglierà sensibilmente il numero di parlamentari.

Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo e Basilicata hanno votato a favore del referendum mentre la riforma ridurrà il numero di parlamentari da 945 a 600, di cui 400 deputati e 200 senatori.

Il referendum abrogativo è auspicato dalla Lega che sarebbe avvantaggiata dalla legge elettorale maggioritaria. Il maggioritario uninominale a turno unico infatti premia non solo i grandi partiti ma anche quelli piccoli che hanno un forte radicamento territoriale.

La Lega è il più grande partito italiano in termini di consenso e ha anche un notevole radicamento territoriale specie nelle regioni settentrionali.

Il maggioritario uninominale a turno unico ha inoltre il pregio di favorire generalmente la governabilità ma allo stesso tempo ha il difetto di essere poco rappresentativo. Questo sistema elettorale favorisce la governabilità nella misura in cui i partiti di maggioranza sono coesi al loro interno. Il caso britannico, maggioritario per eccellenza, sta facendo scuola negli ultimi mesi. L'attuale instabilità politica britannica dipende anche dal fatto che il partito di governo – quello conservatore – non è unito ma profondamente spaccato dalla questione europea. Di conseguenza l'impossibilità di far ratificare al parlamento l'accordo di uscita dall'Unione Europea.

Per quanto riguarda la mancanza di rappresentatività – dicasi anche disproporzionalità – essa è proverbiale. Vale la pena citare due casi emblematici provenienti entrambi dal Regno Unito.

Alle elezioni legislative del 1983 i laburisti ottennero il 27,6 % dei voti e 209 seggi mentre la coalizione tra liberali e socialdemocratici ottenne il 25,4 % dei voti ma solo 23 seggi. Alle elezioni legislative del 2015 lo Ukip di Nigel Farage incassò il 12,6 % dei voti ma ottenne un solo seggio mentre lo Scottish National Party (Snp) – il partito indipendentista scozzese – prese il 4,7 % dei voti ma ben 56 seggi. Non c'è bisogno di commentare.

Questi risultati dimostrano la disproporzionalità del maggioritario e provano inoltre che in questo sistema elettorale non conta solo quanti voti si prendono ma conta anche dove si prendono. L'importante è arrivare primi nei collegi è ciò avvantaggia i partiti forti sul territorio.

Ora, premesso che il quesito referendario deve essere approvato dalla Corte di Cassazione e poi dalla Corte Costituzionale, se il referendum si dovesse fare e se dovesse vincere il sì all'abrogazione e se la riforma del taglio dei parlamentari dovesse passare – come è probabile – la rappresentatività della democrazia italiana subirebbe due colpi gravissimi.

Ci ritroverremmo un parlamento con meno eletti e con una legge elettorale disproporzionale che sì, probabilmente favorirebbe la governabilità, ma al prezzo della rappresentanza dei cittadini nell'istituzione cardine della democrazia liberaldemocratica.

Se si riduce in modo drastico il numero dei parlamentari la logica democratica vuole che si faccia una legge proporzionale in modo da garantire la rappresentanza di tutti. Sia chiaro che il proporzionale puro da un lato favorisce la frammentazione rendendo più difficile la formazione di maggioranze solide, dall'altro avvantaggia anch'esso alcuni partiti. Gli schieramenti politici con poco radicamento nei territori e i partiti piccoli sono avvantaggiati dal proporzionale.

La questione, come sempre, consiste nel conciliare la rappresentatività del sistema elettorale con la governabilità. L'Italia repubblicana, molti lo dimenticano, è uno Stato da sempre politicamente instabile; lo testimonia l'impressionante numero di governi che si sono avvicendati nel corso di questi 71 anni. L'instabilità politica è una delle grandi questioni irrisolte - dal 1948 - del nostro sistema istituzionale. Altro che terza Repubblica. Allo stesso tempo però in caso di un netto taglio dei parlamentari non si può ignorare l'urgenza di garantire la rappresentatività del sistema.

Alcuni potrebbero dire che il taglio dei parlamentari non inficia la rappresentantività del parlamento adducendo ad esempio il caso statunitense. Gli Stati Uniti hanno circa 330 milioni di abitanti (circa cinque volte e mezzo l'Italia) eppure i parlamentari americani sono solo 535, di cui 435 rappresentanti e 100 senatori.

Tuttavia il paragone non sta in piedi perché Italia e Stati Uniti hanno due sistemi politico-istituzionali totalmente diversi. Gli Stati Uniti sono una repubblica federale presidenziale in cui gli Stati hanno una larga autonomia e il presidente è eletto indirettamente dai cittadini. La rappresentatività e la legittimità del sistema politico-istituzionale americano si concretizzano quindi in modo radicalmente diverso dal caso italiano, dove i cittadini eleggono solo il parlamento e le Regioni non godono della stessa autonomia degli Stati federati americani. In sostanza, in Italia l'istituzione parlamentare è più centrale rispetto agli Stati Uniti; non a caso è una repubblica parlamentare.

Per concludere, se come probabile il numero di parlamentari verrà tagliato, è auspicabile che la nuova legge elettorale contenga un'ampia quota proporzionale, pena una grave perdità di rappresentatività del nostro sistema politco-istituzionale.


Massimiliano Palladini

Redazione Pressa
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La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, ..   Continua >>


 
 
 
 

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