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Sono una donna medico, sposata e madre di una bambina che tra pochi giorni compirà il suo primo anno di vita. Quando l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 è cominciata ero in servizio anzi, sarebbe meglio dire, studiavo come specializzanda presso un reparto ospedaliero di Geriatria. Ho lavorato sino all’ultimo mese di gravidanza in condizioni che mi facevano presagire che quello che stava accadendo non aveva un profilo esclusivamente sanitario, bensì d’altro tipo che all’epoca ancora non comprendevo. La nascita di mia figlia e il lungo congedo parentale mi hanno consentito di restare lontana dall’ospedale, continuando comunque a seguire gli eventi attraverso le chat dei colleghi e l’informazione che diventava sempre più martellante e spaventosa, nulla che avesse a che fare con ciò che stava succedendo davvero in ospedale: impreparato ed intasato da adempimenti burocratici e formalistici piuttosto che guidato da logiche di buon senso ed indicazioni terapeutiche chiare.
Tutto sembrava fatto apposta per creare caos ed emergenza anche in situazioni che da anni sono tipiche negli ospedali o nelle case di riposo durante il periodo influenzale. Criticità stabilite a suon di norme e non corrispondenti alla realtà di fatto. Stavo scoprendo all’opera, per la prima volta in vita mia, la “medicina politica”: il prevalere di orientamenti e decisioni totalmente estrinseci all’ambito medico scientifico ed invece pilotati in modo inquietante da politici, CTS e medici showman cinici ed arroganti, spregiudicati e senza alcuna vera preparazione, con conflitti d’interesse mostruosi: decisioni i cui risvolti non hanno tardato a manifestarsi, pur nel silenzio colpevole dell’informazione tutta e ancor più spaventosamente della magistratura. Inquietante, poi, come ogni visione scientifica dissenziente sia stata tacita, demonizzata e addirittura perseguita.
Mi tremavano i polsi al pensiero di dovere esercitare la professione medica in quelle condizioni e nel cuore ringraziavo Dio d’essermi potuta dedicare all’allattamento e alla cura della mia piccola, lontana come medico da situazioni gestite non tanto dalla medicina, ma dalla politica del terrore e da una sperimentazione di massa che assurdamente diventava obbligatoria per il personale sanitario. Infatti, col passare del tempo cresceva con un’insistenza paurosa da parte dello Stato la proposta di un’unica via d’uscita dall’epidemia, propagandata e poi anche imposta, ovvero quella della vaccinazione obbligatoria per i sanitari e surrettiziamente obbligatoria, attraverso l’adozione del green pass, per il resto dei cittadini. Oggi i dati smontano clamorosamente tutto questo sistema da un punto di vista sanitario eppure lo scempio di diritti, libertà e dignità non sembra voler cessare. In passato avevo letto testi di bioetica ed in particolare uno che mi aveva particolarmente colpita intitolato “Etica della vita” di Maurizio Chiodi. Uno dei primi capitoli fa una lunga disamina di fatti storici tra cui le sperimentazioni portate avanti dall’America sulla popolazione senza che questa ne fosse avvisata; poi gli abusi delle case farmaceutiche e i continui scandali che hanno colpito sino ad oggi gli organismi di controllo sanitario e della salute pubblica. Non credevo si potesse di nuovo arrivare a quel punto e certo anche superarlo.
Tornando alla mia situazione dicevo che ringraziavo di essere stata lontana dall’ospedale e da quelle logiche, ma non sono riuscita a rimanerne fuori, infatti, seppur specializzanda ed in congedo parentale, la medicina politica ha colpito duramente anche me: già a novembre dello scorso anno ho ricevuto la sospensione dall’Ordine dei medici e a nulla sono valse le mie PEC all’Ordine stesso in cui spiegavo che non stavo esercitando la mia professione e che secondo la legge (esiste ancora il diritto, la costituzione, la legge?), essendo io un operatore con un contratto esterno in quanto studentessa specializzanda, non avevo comunque obbligo vaccinale. Mi dovevo vaccinare, punto e basta. Ad oggi in Italia operano centinaia di medici positivi. Ho patito quindi per mesi emarginazione e ghettizzazione, sono stata messa alla gogna dai colleghi ed offesa per la mia posizione sino a quando all’inizio dell’anno mi sono anch’io ammalata. Una via d’uscita. Una semplice influenza, con sintomi lievi: un giorno di febbre e qualche giorno di spossatezza, ma era il Covid-19. Tanto bastava per avere il green pass, riprendere a lavorare e sperare che tutta questa follia passasse. Invece no. L’Ordine nonostante io sia guarita e dotata di super green pass non accetta di revocare la mia sospensione e stavolta neppure risponde alle mie PEC. Avrei dovuto riprendere il mio percorso di formazione specialistica il 20 gennaio scorso, ma ad oggi l’Ordine non ha revocato la mia sospensione. Questo mette a repentaglio la mia carriera professionale, ma ancor più gravemente lede i miei diritti di donna, di cittadino e di medico. Le decisioni sanitarie non possono essere imposte, ancor più quando l’interessato è un medico e sa chiaramente, in scienza e coscienza, quale sia la miglior decisone da prendere. A questo punto la domanda è a cosa servono gli Ordini professionali? Perché l’ordine non rispetta il codice deontologico e costringe il medico ad agire contro la propria volontà ubbidendo a logiche di potere? Perché non difende i propri iscritti che pagano lautamente i membri dell’ordine?
Con mio marito abbiamo iniziato ad interpellare avvocati, scrivere ad associazioni e sindacati ma non se ne viene fuori. Da un punto di vista della giurisprudenza, oggi, non si è certi di poter far valere alcun diritto, non si è neppure certi ce ne sia ancora uno davvero riconosciuto e non stabilito arbitrariamente attraverso decreti leggi emanati illecitamente dal governo. Ci sarebbe la strada del ricorso al TAR tuttavia l’incertezza delle sentenze mette al muro poveri cristi come noi che devono intanto sborsare circa 4000 euro per vedersi, quasi certamente, non solo respingere il ricorso, ma magari doverlo rifare, perché intanto la normativa è cambiata, ed aggiungere altri soldi e perdere altro tempo. Oltretutto non ce lo possiamo permettere, mio marito è precario della scuola dopo 15 anni di insegnamento, io avevo uno stipendio di 1500 euro al mese che non prevede neppure la tredicesima, ci siamo visti anche rifiutare il mutuo dalla banca. Insomma essere dei medici, avere dedicato una vita allo studio della medicina e alla cura dei pazienti, è caldamente sconsigliato in Italia.
La rabbia è tanta. Ci chiediamo chi pagherà per tutto questo, chi potrà riparare questo devastante dolore e questa immensa ingiustizia, la distruzione della mia vita e della nostra famiglia. Certamente non dimenticheremo i volti, i gesti, gli sguardi e gli argomenti con i quali infermieri, dottori e primari hanno deciso di giustificare l’emarginazione prima e la segregazione poi di chi non ha accettato di inocularsi. Questa lunga riflessione vuole essere anche una bottiglia gettata nell’oceano dell’umanità che ancora c’è per chiedere aiuto, perché ci sia ancora un futuro per una giovane medico e per nostra figlia. Lo chiediamo ai politici, alla magistratura, a chi legge ed è uomo di buona volontà non lasciateci morire soli.
Dottoressa G.N. - Modena
Foto repertorio Italpress