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Schiavi di Abruzzo, 15 maggio 1899. La data di nascita della mia bisnonna Laura. Oggi quindi è il suo compleanno. Uso il presente perché mi piace pensare che le persone care che non sono più con noi comunque ci accompagnino fino a quando noi ne manteniamo viva la memoria. È per questo che oggi voglio rivolgere un pensiero a questa donna, la mia bisnonna.
Non ho avuto la possibilità di frequentare assiduamente Laura. Era la mamma di mio nonno, nata e cresciuta a Schiavi di Abruzzo: non si allontanò nemmeno un giorno da quel paese racchiuso a 1171 metri tra montagne che erano una barriera invalicabile.
Belle, ma al contempo crudeli, un ostacolo all'evolversi della società. “La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava così racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne e delle vicende del tempo.
Saldato in un cerchio naturale, immutabile, come in una specie di ergastolo” - per usare le parole di Ignazio Silone.
Io bambina, nata e cresciuta a Modena, con una mamma appunto abruzzese, trascorrevo tutte le vacanze estive e invernali con i nonni d'Abruzzo.
Tutto quindi mi separava da nonna Laura: gli anni prima di tutto, la distanza geografica e la lingua, il suo solo parlare era in dialetto abruzzese, per me quasi incomprensibile.
Ogni estate che passavo con lei era come se due mondi completamente diversi si incontrassero, eppure ancor oggi tutte le volte che penso a lei, e mi capita spesso avendo scelto di posizionare in bella vista in casa mia una foto che ci ritrae insieme, il primo sentimento che affiora è di un'infinita dolcezza. Una dolcezza che arriva da ciò che ho vissuto e da ciò che ho sentito raccontare tante volte in storie familiari.
L'affetto di nonna Laura mi arrivava dal suo sguardo e dai suoi modi di fare.
Non credo la mia bisnonna abbia mai avuto consapevolezza del giorno del suo compleanno. Contadina, donna, analfabeta. Come diceva, sempre Silone, “voi siete cafoni, carne abituata a soffrire”. Affermazione ancora più vera se si pensa a quella che era la condizione femminile in quegli anni, e purtroppo ancora per molti anni a venire, in particolar modo nei paesi del sud, dove appunto le donne come Laura nascevano per lavorare la terra, pascolare, sposarsi spesso per necessità familiare, mettere al mondo molti figli, e continuare a lavorare e soffrire per tutta la vita.
Questa è stata per tanti anni la vita di Laura.
Una vita di soprusi, di duro lavoro di un marito che si macchiava di percosse e maltrattamenti vergognosi, ma che allora in un modo incomprensibile non erano visti come un orrore, e che a Laura stessa sembravano una condizione ineluttabile.
Ricordo ancora quelle storie riportate quando si raccontava in famiglia come il marito di Laura fosse solito dire: “Se deve morire mia moglie, meglio muoia il somaro, ma se devo morire io meglio muoia mia moglie”.
Il destino però ha deciso diversamente, forse ha concesso a Laura qualche anno di tranquillità, quelli della vecchiaia con i figli ormai 'sistemati'. Laura sopravvisse al marito che morì in una notte nevosa d'inverno.
Laura non avvertì immediatamente i figli. Informati la mattina seguente chiesero spiegazioni di questo ritardo e lei disse: 'Mi ha dato tante botte in vita che da morto non può farmi più nulla'.
Auguri nonna Laura. Mi auguro che il cielo ti abbia ricompensato di tutte le miserie che hai dovuto sopportare. Io ricorderò sempre i tuoi occhi dolci, le tue mani grandissime, sproporzionate rispetto a quel corpo minuto, leggerissimo, ricoperto di non so quante sottane e con i tuoi scarponcini di contadina, la variante invernale delle stesse calzature indossate per tutti gli anni vissuti.
E il ricordo di quella fotografia con te. Io bambina, che giocavo a imitare il modo delle donne di portare sul capo ogni mercanzia, dalle fascine di legna, all’acqua e mercanzie varie. Un cestino sulla testa e io piccola che sorridevo. Un equilibrismo precario, lo stesso sul quale tu hai vissuto l'intera vita, in modo eroico e silenzioso, e che per me era solo un gioco.
Cinzia Franchini