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Ma se c'è una riflessione che mi resta, anche aperta, sulla sua parabola, è questa: qual è la strada per il futuro delle manifatture occidentali, nella stagione della concorrenza asiatica (e, in futuro, afro-asiatica)?
Sono gli alti costi del lavoro occidentale? Le tutele rigide? La flessibilità bruta? L'abolizione di tutele storiche? Viene prima lo sviluppo, da cui conseguono i diritti? Esistono i diritti, nella realtà concreta, senza sviluppo? Che rapporto tra diritti e produttività?
Ecco, la parabola di Marchionne ha sempre posto problemi di questo tipo. Che sono poi i problemi cui deve dare risposta seria, non preconcetta, una sinistra moderna, se vuole anche solo avere il diritto di esistere. Problemi non banali, sui quali discuto spesso, ma non mi trovo la risposta in tasca bella facile. E non invidio chi ce l'ha, o dice di averla. Perché l'ho sempre trovato dogmatico.
Sia quando difende un modo di lavorare che non produce più, e quindi non può nemmeno garantire diritti, perché fa fallimento. Sia quando difende una deregulation disumana ad ogni costo. Ai posteri la sentenza nel dire se Marchionne l'equilibrio tra queste due esigenze l'ha trovato, e a che livello, e se si poteva far meglio.
Secondo me non era affatto banale trovarlo, un simile equilibrio, e credo che oggi -in un bilancio che gli auguriamo non definitivo- gli vada riconosciuto di averci provato. Penso che sia una sfida da raccogliere, e -magari con soluzioni diverse- chi saprà indicare la strada nel dilemma che Marchionne ha affrontato negli ultimi 15 anni ha in mano una carta fondamentale per il futuro (politico, e non solo) di questo povero paese.
Giuseppe Boschini