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Sabato scorso, l’ex Presidente del Consiglio partecipa ad Amesterdam ad una conferenza internazionale dall’istituto NEXUS con titolo “The Revolution of Hope”. Stranamente, l’Avvocato del Popolo, così attento alla promozione di se stesso, non accenna sulle sue pagine social all’evento in modo specifico e ciò produce curiosità negli addetti ai lavori. Spunta un video e si comprende al volo tale reticenza a sfoggiare il confronto con illustri esponenti europei: quando prende la parola è tutto un intrecciarsi di sguardi interrogativi, perplessi e con le labbra sul punto di aprirsi ad una sonora risata. Viene in mente la pubblicità di una nota industria dolciaria che nel 1995, in prossimità dell’estate, diffondeva un filmato con un giovanissimo Stefano Accorsi. Sulla spiaggia assolata di Rimini abbordava due biondine straniere con un inglese alquanto improbabile: “Anche voi the… The best del mond, very mitic! Granel, stracciatel: du gust is mei che one!”.
Il nostro Giuseppe Conte - accanto a Patti Smith, alla nipote dell’ex presidente degli Stati Uniti Mary L. Trump, alla leader bielorussa dissidente Svetlana Tikhanovskaya e ad Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica - ha ricreato ad Amsterdam lo stesso idioma: simpatico e accattivante, se in una pubblicità televisiva, ma assolutamente mortificante in un contesto serio, internazionale dove, come ex premier, si rappresenta l’Italia e gli italiani.
Ora, non è un obbligo avere dimestichezza con la lingua di Shakespeare, anche se la cosa sarebbe opportuna per chi aspira a carriere internazionali; gli interpreti simultanei sono stati inventati per questo. Il loro supporto ha un costo non indifferente, oltre alle spese di viaggio e soggiorno, e questo costo pesa sulle proprie tasche, quando non è il denaro pubblico a pagare, ma evita figure ridicole come quella che ha fatto Conte.
A questo punto sorgono un paio di domande: ma quando il Nostro si faceva riprendere in amabili conversari con Angela Merkel, durante i simposi internazionali, in quale lingua parlava? Si esprimeva nel dialetto di Volturara Appula, il suo paese natale, e la Cancelliera tedesca piegava le labbra ad un sorriso emblematico perché non capiva un emerito tubo? Oppure, con i suoi 'importanz of wespred' a volte rideva di gusto, perché le ricordava Lino Banfi in certe commedie boccaccesche degli anni ‘80?
L’altra “question” riguarda il curriculum snocciolato nel momento in cui Grillo lo indicò a presiedere il Consiglio dei Ministri. Sul testo consegnato all’Associazione civilisti italiani, che servì quale primo testo per la pubblicazione sul sito del Governo, vi era scritto che si era “perfezionato” alla New York University nel 2008 e nel 2009, anche se una portavoce dell’università, Michelle Tsai, smentì questo fatto al New York Tmes, affermando di non avere trovato traccia della presenza di Conte né come insegnante, né ricercatore né come studente.
Sempre nel curricuum, aggiunse specializzazioni e approfondimenti anche a Yale nel 1992, alla Duquesne University di Pittsburgh (sempre nel 1992) e al Girton College dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito (nel settembre 2001).
Una qualsiasi persona dopo cotanto studio in queste università dove è obbligatorio esprimersi in inglese, saprebbe tale lingua meglio dell’italiano. E invece no: Conte è rimasto ai 'Of di velu' e 'Coscenzis': praticamente ai “Granel, stracciatel: du gust is mei che uan!”
Si aggiunge una terza domanda, rivolta agli italiani: quanto si dovrà ancora attendere per uno scatto d’orgoglio, per la decisione di non dare più spazio in campo politico a personaggi che ridicolizzano quella che fu la Patria di Da Vinci, Dante, Michelangelo, Verdi… e mille altri? Si deve forse toccare il fondo con cantanti simil Maori e milionari, che si propongono quali difensori delle “masse operaie” e salvatori del “bel paese là dove 'l sì suona”?
Massimo Carpegna