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Nel giorno di Natale 1991 morì l'Unione sovietica

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Ma nessun ex comunista italiano l'ha voluto ricordare


Nel giorno di Natale 1991 morì l'Unione sovietica
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Proprio trentanni fa di questi giorni la bandiera rossa con la falce e il martello veniva ammainata per l'ultima volta dal pennone del Cremlino e si dissolveva così nel nulla la patria del comunismo internazionale che per 70 anni aveva illuso e ammaliato milioni di lavoratori di tutto il mondo che guardavano all'Urss come un modello da seguire e da applicare per la loro emancipazione economica e sociale.

Invece l'esplodere delle contraddizioni interne al sistema sovietico (superpotenza nucleare e costosi armamenti di ultima generazione a fronte di un grave sottosviluppo economico con vaste aree di arretratezza specie nelle campagne), il crollo del Muro di Berlino di due anni prima abbattuto dagli operai e dagli studenti della Germania dell'est e l'opera silenziosa ma preziosa di due uomini protagonisti del ventesimo secolo come Papa Wojtyla, il Papa polacco e il presidente degli Usa Reagan, dettero la spinta decisiva insieme al tentativo generoso ma disperato di Gorbaciov di salvare il salvabile con la 'trasformazione' dell'Urss in un sistema di comunismo dal 'volto umano', contro il quale si era posto anche Eltsin.

Fu tutto inutile. Il Natale del 1991 vedeva la dissoluzione di una idea che alla prova dei fatti si era dimostrata inattuabile, nata nel 1922 dopo la rivoluzione bolscevica del 1917 e la fine dell'impero zarista. Ma dopo l'era Lenin, ecco Stalin prendere il potere ed instaurare una feroce e terribile dittatura che eliminò ogni libertà personale e politica e quindi ogni opposizione interna, con un sistema poliziesco che andò avanti fino alla sua morte, nel 1953. Il 'modello' sovietico prosegui con altri dittatori dimostrando sempre più le sue crepe, le sue ingiustizie politiche e sociali, l'incapacità di risolvere i problemi economici del paese e di perseguire la tanto sbandierata giustizia sociale, fino alla sua ingloriosa caduta dopo 70 anni di brutalità, di persecuzioni e di assassinii denunciati peraltro dallo stesso Gorbaciov anni prima nel corso di un famoso congresso del Pcus ma venuti alla luce grazie anche ai libri scritti dai coraggiosi scrittori Sakarov e Solgenitsin sui lager siberiani nei quali morirono di fame, di freddo e di torture migliaia di oppositori interni del regime ma anche persone innocenti incarcerate, perseguitate ed eliminate ingiustamente dal regime stalinista.

Con un silenzio colpevole di Togliatti, il futuro segretario del Pci, che trascorse parecchi anni nella Mosca sovietica e che “non poteva non sapere cosa accadeva dentro il palazzo del Cremlino”, come gli rinfacciarono molti suoi compagni di partito quando tornò in Italia a Liberazione avvenuta e a guerra finita.

E ora a trentanni dalla sua fine ingloriosa, ha fatto scalpore la censura del regime di Putin alla organizzazione 'Memorial' sorta in difesa dei diritti umani nella Russia di oggi che continua, insieme ai romanzi di Sakarov e Solgenitzin, ad alzare il velo di omertà sull'orrore carcerario dei gulag e sulla brutale repressione che sembra continuare ora con l'arresto di Alexei Navalny, il più importante e coraggioso oppositore dell'attuale regime putiniano. Cosi come è di questi giorni la condanna di uno dei maggiori storici fortunatamente scampato nell'arcipelago gulag, Yurj Dnitriev, che prosegue l'encomiabile ricerca di Sakarov e Solgenitzin sul 'sistema' dei lager e a cui si deve la scoperta di una fossa comune nella foresta della Carelia coi resti di settemila vittime del regime stalinista.

Ma non abbiamo letto o sentito nessun ricordo da parte degli ex comunisti italiani, quelli cioè che hanno militato sino al 1991 nelle file del Pci italiano e che ora sono nel Pd, per rendere omaggio alla memoria delle vittime innocenti dello stalinismo, come in Italia e in Europa rendiamo omaggio alle vittime innocenti del fascismo e del nazismo.

E avrebbero potuto farlo condividendo un parere espresso in grande libertà, serenità e onestà intellettuale da Dacia Maraini, da sempre donna di sinistra, che scrisse una pagina esemplare divenuta famosa ma che al momento mise in grande imbarazzo i dirigenti del Pci di allora. Essa scrisse: “Il comunismo è la più grande catastrofe culturale di tutti i tempi. Forse anche peggio del nazismo, perchè più subdolo, sotterraneo, seduttivo e infingardo, perchè falso e ipocrita”.

Oppure l'altra significativa e coraggiosa affermazione, quella dell'onorevole Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci insieme a Togliatti, Longo, Pajetta, Secchia, Ingrao, che ha detto: “E' stato necessario prendere pubblicamente atto del fallimento della ideologia comunista come forma di governo dei popoli ma il Pci perse in quel momento la storica occasione per fare un salto di qualità e divenire un moderno partito socialdemocratico e laburista affiancandosi a quelli esistenti in tutta Europa”.

Cesare Pradella

Cesare Pradella
Cesare Pradella

Giornalista pubblicista, è stato per dieci anni corrispondente da Modena del Giornale diretto da Indro Montanelli, per vent'anni corrispondente da Carpi del Resto del Carlino, per cinque..   Continua >>


 


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