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'È trascorso un anno dall’emanazione del primo DPCM, attraverso cui venne stabilita la chiusura alle visite dei famigliari nelle strutture residenziali per anziani, disabili e malati psichici. Un provvedimento drastico nel pieno della pandemia, i cui ricordi sono vivi in tutti noi, a dimostrazione della fragilità di questi servizi. I morti parlano chiaro. Servizi dimenticati e lasciati nelle mani di politiche gestionali esclusivamente basate sul profitto, in cui il benessere del malato è stato accantonato.
A distanza di un anno che cosa è cambiato nella gestione e nella cura offerta alle persone più fragili?
Assolutamente nulla. I problemi sono sempre gli stessi, a cui il mondo politico e amministrativo non sembra voler dare un cambio di rotta, riportando al centro dell’interesse collettivo, il diritto del
malato e dei lavoratori che se ne prendono cura, attraverso politiche d’ investimenti pubblici'
E' cruda l'analisi che il Comitato Libro Verde che unisce familiari, operatori socio-sanitari nella tutela dei diritti delle persone ospiti dei centri residenziali e diurni per anziani, per disabili e malati psichici, traccia ad un anno dalle chiusure delle strutture per effetto del DPCM, il 5 marzo 2020. Un bilancio che questa sera sarà al centro, con diversi interventi, di una diretta Facebook sulla pagina del Comitato Libro Verde
Una data, quella del 5 marzo destinata a rimanere simbolo di una tragedia che ha colpito dalla prima alla seconda fase migliaia di famiglie. Una data che segna anche l'inizio dell'azione dei comitati e dei movimenti per denunciare le carenze strutturali e gestionali tali anche prima dell'emergenza Covid ma che nell'emergenza sono state amplificate. Insieme agli effetti distorsivi creati sul sistema da un modello politico e gestionale, basato sull'accreditamento, messo in forte discussione.
Insieme al sistema territoriale dell'assistenza.
'Le strutture residenziali non devono essere la sola e unica soluzione per la cura. Tutto deve partire dalla medicina territoriale, dalla cura e assistenza presso il proprio domicilio, attraverso il potenziamento e integrazione di questi servizi' - affermano i referenti del Comitato. 'Bisogna ricordare che la maggioranza delle attuali “residenze protette”, presenti in tutto il territorio nazionale non posseggono i criteri adatti, essendo strutture vecchie e fatiscenti.
La maggioranza degli anziani ricoverati sono soli, oppure non hanno una rete famigliare tale da garantire la presenza costante nella vita del paziente', affermano i promotori dell'iniziativa.
Al contempo l’assistenza domiciliare deve essere attuata dove sono presenti le condizioni idonee: ambientali e cliniche del malato. Molto spesso però le patologie geriatriche sono sempre più complesse, che necessitano di assistenza sanitaria sempre più articolata e quindi non può essere erogata al proprio domicilio, ma in strutture attrezzate.
Tante sono le storie di famiglie costrette a svendere quelle poche proprietà, come la casa dei genitori, o indebitarsi per rivolgersi al badantato (altra frontiera di sfruttamento) perché le famiglie sono lasciate sole. Attualmente il massimo di assistenza domiciliare erogata è di poche ore giornaliere'
Per il Comitato tutto ciò ha una responsabilità precisa: tutto questo ha solo una responsabilità ben precisa: 27 miliardi di euro tagliati alla sanità negli ultimi 10 anni, la riforma del titolo V° della costituzione con la regionalizzazione del Sistema Sanitario, il pareggio di bilancio inserito in costituzione (governo Monti) che impedisce investimenti nei servizi pubblici essenziali, con i risultati noti.
Per noi è fondamentale unire le rivendicazioni dei familiari, dei pazienti e dei lavoratori: innalzare i parametri assistenziali aumentando il personale impiegato applicando ad essi contratti di lavoro migliori degli attuali. È l’unico strumento - conclude il Comitato - atto a garantire il vero diritto alla cura.
Redazione Pressa
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