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L'ultima lettera scritta da Nicoletta al Comune è recente. In essa si descrive ancora una volta una situazione di difficoltà dovuta allo stato di non autosufficienza dei propri anziani genitori (entrambi affetti da malattie degenerative del sistema nervoso che li rendono totalmente non autosufficienti), e alla mancanza di aiuti, che pur nel momento del bisogno, non vengono concessi a quelle persone e a quelle famiglie che, dopo avere lavorato una vita, avendo una casa di proprietà, un reddito, risultano agli occhi del fisco e del Comune formalmente benestanti ed economicamente autosufficienti. Una situazione che in diversi casi, e soprattutto di fronte alla malattie invalidanti, risulta penalizzante perché non consente di ricevere aiuti diretti ed indiretti, oltre che accessi a servizi pubblici (come case protette), a condizioni, pur di fascia alta, almeno sostenibili. Ma non solo.
Perchè ciò che viene di fatto negato non è solo un aiuto diretto, ma anche indiretto, che consenta di creare, o ricreare, le condizioni per continuare a non avere bisogno di aiuto.
E' la storia di tanti modenesi, facenti parte di quel cosiddetto ceto medio, ormai cancellato dalla crisi e dalle politiche nazionali e locali degli ultimi dieci anni che quella crisi non hanno saputo affrontarla. Quel ceto medio silenzioso e dignitoso, creato dalla generazione di lavoratori modenesi, oggi anziani, che hanno rappresentato un ammortizzatore sociale enorme anche per reggere l'impatto della stessa crisi economica, e che dopo una vita di lavoro, di sacrifici e risparmi, si trovano ad essere gli ultimi della lista nel momento del bisogno, anche in condizioni estreme. In questo senso la storia raccontata da Nicoletta è emblematica. Anche per questo abbiamo voluto ascoltarla e raccontarla.
'Non abbiamo mai chiesto nulla, ma ora abbiamo bisogno di essere posti nelle condizioni di potere continuare a farcela da soli' - afferma Nicoletta.
Cinquentenne, modenese da generazioni, da alcuni anni amministratore di sostegno dei suoi genitori in totale stato di non autosufficienza, ha deciso di rendere pubblico il suo caso. Un caso in cui si intrecciano burocrazia e diritti negati che ha portato ad un accorato appello.
Commessa, separata con una figlia di 16 anni da mantenere, Nicoletta paga da anni direttamente (come amministratore di sostegno gestendone il piccolo patrimonio), l’assistenza domiciliare ai suoi genitori. Da un anno e mezzo, con l'aggravarsi delle condizioni fino al raggiungimento della totale loro non autosufficienza, i due anziani sono stati inseriti in lista di attesa per l’accesso alle strutture protette comunali. Nel frattempo le spese fisse mensili, per assumere personale in regola per l'assistenza domiciliare (come amministratore di sostegno deve rendicontare e documentare tutte le spese dimostrando che vadano giustamente per l'assistenza dei genitori), si attestano sui 2.500 euro. Al netto di tutte le spese e delle tasse che gravano sulla casa e sulla quotidianità. Una cifra che va ben oltre alle entrate garantite dalla pensione e dall'assegno di 'accompagnamento' riconosciuto per ora a solo uno dei genitori.
Il saldo tra entrate ed uscite mensili è così negativo da tempo. Le spese erodono velocemente anche i risparmi di una vita di lavoro dei due anziani coniugi, che nel corso di anni di sacrifici erano riusciti ad accumulare qualche risparmio e ad acquistare un piccolo appartamento, oltre a quello di residenza, da destinare ai figli. Cosa normale per le famiglie modenesi. Da tre anni l'appartamento è stato dato in affitto a canone concordato per garantire una entrata mensile ad integrazione delle tante spese.
L'immobile di proprietà, seppur a reddito, genera però un nuovo problema, anziché una opportunità. Gli inqulini smettono di pagare regolarmente. Nel frattempo scade il contratto e con regolare anticipo Nicoletta comunica l'intenzione di non rinnovarlo. L'obiettivo è di vendere l'immobile vuoto. La vendita dell'appartamento, pur modesto, e pur ai prezzi di mercato ora ancora svantaggiosi per chi vende, potrebbe garantire quel liquido che consente di coprire le spese fisse di assistenza, per pagare il personale di cui i genitori hanno bisogno nel momento in cui Nicoletta è al lavoro. Senza dovere chiedere aiuti pubblici. Che in fascia alta non garantirebbero comunque risparmi sostanziali. Alla lettera di disdetta, l'inquilino risponde che lui da li non se ne andrà fino a che il comune non gli garantirà una casa popolare. E' irremovibile e si giustifica con il fatto di avere perso il lavoro.
Intentare una causa, oltre che tempi lunghi, necessita di altri soldi. Che non ci sono anche perché l'immobile, risultando comunque a reddito, genera tasse, traducendosi in una ulteriore uscita mensile anziché in una entrata. Nicoletta non sa più cosa fare. Anche la prospettiva di dividere i genitori, accettando la proposta di mandare solo uno di loro in casa protetta, con una retta mensile a proprio carico oltre ai 1500 euro, non è percorribile. Perché la retta della casa protetta andrebbe ad aggiungersi alle spese di assistenza che comunque a casa Nicoletta dovrebbe continuare a garantire per il genitore senza diritto di accesso, per ora, in struttura. Aumentando, anziché diminuendo la spesa, oltreché andando incontro alla prospettiva di dividere per sempre i propri genitori, al termine della loro vita.
'Non chiedo tanto, abbiamo sempre lavorato e risparmiato per non gravare su nessuno, tanto più sul comune. Non abbiamo mai chiesto nulla, e continueremmo a non chiedere nulla nel momento in cui fossimo aiutati a sbloccare questa situazione, entrando per esempio in pieno possesso di ciò che è nostro, il piccolo immobile ora in affitto, e a metterlo in vendita' - afferma Nicoletta.
'Con la garanzia che il ricavato servirebbe soltanto a continuare a pagare l'assistenza ai genitori a casa. Cosa che tra l'altro devo garantire e documentare al giudice in quanto amministratore di sostegno. Gli acquirenti ci sarebbero ma lo vogliono vuoto. Tra pochi mesi le nostre disponibilità finiranno e io non so più cosa fare. Non chiedo nulla al Comune se non di aiutarci a sbloccare questa condizione di stallo. O garantendo, pur nel rispetto dei tempi previsti, l'accesso alla casa protetta, pur in fascia massima di retta, di entrambi i genitori, perché questo oltre a mantenerli uniti, garantirebbe di potere vendere la loro casa di proprietà e generare la liquidità per l'assistenza. Oppure ci aiuti nel percorso di uscita dall'alloggio dell'inquilino che non se ne vuole andare, consentendoci di rientrare nella disponibilità di ciò che è nostro. Non vorrei mai arrivare all'estrema conseguenza di rinunciare al mio ruolo di amministratore di sostegno dei miei genitori, solo per un inghippo burocratico e per un sistema che penalizza i cittadini ed i lavoratori onesti che hanno sempre pagato le tasse e fino all'ultimo euro per supplire, come privati, alle carenze del pubblico. Anche perché questo significherebbe una sconfitta morale, nei confronti dei miei genitori che vorrei assistere fino alla fine, oltre che ad un ulteriore danno economico, non solo per me ma anche per il Comune che dovrebbe comunque subentrare nella gestione. Chiedo soltanto che il Comune ci aiuti a continuare a non avere bisogno'
Gi.Ga.