Quella spallata musicale al Muro di Berlino
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Quella spallata musicale al Muro di Berlino

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Prima Bob Dylan, nel 1987, e poi Bruce Springsteen nel 1988, fecero due concerti a Berlino Est davanti a circa 500.000 persone


Quella spallata musicale al Muro di Berlino
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“Die Mauer” divideva il mondo in due, tra coloro che godevano della libertà e della democrazia e chi, nel nome di una giustizia sociale, l’aveva persa.
Nel 1945, in Germania, nasceranno i corsi musicali estivi di Darmstadt, dove si tenterà di ricostruire un’identità musicale libera dal nazionalismo. Furono gli americani a garantire fondi e strutture per cominciare e l’operazione iniziò mettendo in discussione i grandi nomi della cultura musicale tedesca come Richard Strauss, anche se il compositore mai si era esposto a sostegno del nazionalsocialismo.
Stessa posizione fu presa nei confronti di Carl Orff e i suoi Carmina Burana. Paul Hindemith fu preso come uno dei punti di riferimento, ma presto fu sostituito da Schonberg e dal suo linguaggio più rivoluzionario.

Nel trascorrere del tempo, l’avanguardia del secondo novecento segue un proprio percorso, lontano e differente da ciò che avverrà al di là del muro.

La sua è una storia che appartiene all’Occidente. Occorre dire poi che, terminata la guerra, molti musicisti emigrarono negli Stati Uniti. Kurt Weill, per esempio, trovò in America l’ambiente ideale per la sua musica e presto divenne uno dei compositori più importanti del Broadway Theater.
Roosvelt accoglieva tutti, non solo gli ebrei tedeschi e molti, come Bartok, Stravinsky, Milhaud, Eisler e tanti altri, fecero fortuna. Anche Rachmaninov, che apparteneva ad una nobile famiglia nobile legata ai Romanov, trovò negli Stati Uniti una nuova Patria, anche se per tutta la vita sognerà di poter tornare Russia.

Con l’avvento della “Guerra Fredda” le cose cambiarono e il timore che l’ideologia comunista attecchisse anche negli Stati Uniti, rese difficile la vita agli artisti stranieri e americani.
Nell’impegno a distaccarsi dalla cultura musicale occidentale si distinse Aaron Copland, che tentò di costruire un mondo sonoro americano, ma la Commissione McCarthy lo mise sotto indagine con il sospetto di essere comunista e di lavorare per l’URSS.

Copland seppe resistere e sopravvivere al maccartismo, ma non accettò mai d’essere stato considerato un nemico della patria.

Nell’Unione Sovietica avvenne la stessa cosa, con la differenza che il controllo fu molto più pervasivo e violento. Il comunismo sovietico, esattamente come il Terzo Reich, non si limitava all’obbedienza politica verso l’ideale, ma dettava agli artisti anche i canoni estetici.
Il periodo staliniano fu il peggiore per tutti i musicisti, compreso Shostakovich. A quel tempo, il termine più temibile, che significava censura e divieto d’esecuzione, era “Formalismo”. Per “Formalismo” si intendeva tutto ciò che poteva ricondursi alla ricerca, all’innovazione, alla sperimentazione. Anche per i sovietici si parlava di “Arte degenerata” come la definì Hitler, a testimoniare una sovrapposizione tra le due ideologie.

Quando morì Stalin, il 5 Marzo del 1953 e nello stesso giorno in cui passerà a miglior vita Prokof’ev, la stretta rimase ma si allentò. Con Kruscev, la musica godette di maggiore libertà, anche se fu avvallato il progetto del Muro di Berlino, con lo scopo principale d’evitare che parte della popolazione non fuggisse verso la libertà e la democrazia. Strana ideologia, il socialismo reale: afferma di nascere dal popolo, per abbattere le differenze di classe e vivere in un mondo diverso e più giusto, ma sopprime con la forza tutto ciò che mette in discussione i propri convincimenti e spara alle spalle a chi non li accetta. Con il muro, si costruì una prigione a cielo aperto: centinaia di persone trovarono la morte cercando di passare dall’altra parte, falciati dalle pallottole dei soldati della DDR.

Anche sotto Breznev non fu garantita la libertà artistica: Sofia Gubajdulina fu accusata di essere una “irresponsabile” per il suo interesse verso la musica di Stockhausen e gli organici non convenzionali. In una intervista, chiarì perfettamente il mutamento delle condizioni dell’artista scomodo rispetto al regime staliniano “La generazione precedente, se scriveva cose che non piacevano al regime, poteva finire in prigione; è stata una generazione molto infelice quella di Shostakovich.. Io, insieme ad altri sei, ero nella black list, ma la cosa non mi preoccupava, componevo liberamente, senza commissioni. Non si era eseguiti, ma non era pericoloso; per esprimersi bastava ricorrere al cinema, come ho fatto io.”

Ma non ci si può opporre all’anelito di libertà che vive in ogni persona. Se la “musica classica” non riusciva a penetrare, fu la ballata e il rock a dare una spallata al sistema. Prima Bob Dylan, nel 1987, e poi Bruce Springsteen nel 1988, fecero due concerti a Berlino Est davanti a circa 500.000 persone. Qualche anno prima, David Bowie, che si era trasferito a Berlino, scrisse “Heroes”, dove immaginava due ragazzi che si baciavano sotto una torretta militare della DDR. Roger Waters dei Pink Floyd disse che “The Wall” si sarebbe potuto eseguire dal vivo solo dopo il crollo del muro: quel concerto diventò realtà il 10 Settembre del 1990 e fu trasmesso in diretta da 52 paesi.
Le ragioni storico-politiche della caduta del muro le conosciamo, così come abbiamo notizia certa di cosa conduca il totalitarismo in senso generale, nazista, fascista o comunista che sia. Il comunismo governa ancora in molte parti del mondo; ha tentato di presentarsi con una veste nuova e differente, più aperta e affascinante, ma resta il fatto che la libertà è un valore irrinunciabile e non può essere sacrificata per alcun motivo, nobile che sia, così come nessuna vita può essere soppressa nel nome di un ideale.

Massimo Carpegna

Massimo Carpegna
Massimo Carpegna

Visiting Professor London Performing Academy of Music di Londra. Docente di Formazione Corale e del master in Musica e Cinema presso Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi Tonelli..   Continua >>


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