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Si fa un gran parlare del modello svedese, come di un modello alternativo a quello adottato nella maggior parte del mondo per contrastare l’epidemia del Covid-19. In Svezia infatti non è stato adottato il modello del lockdown, né al momento dell’esplosione della pandemia, né attualmente pur con una situazione di contagi da tenere sotto osservazione.
Incoscienza o modello vincente? Nel giorno in cui l’Emilia-Romagna è passata da zona gialla a zona arancione, abbiamo interpellato un modenese all’estero, Ettore Guidetti, per avere un confronto più nitido, rispetto alle informazioni che ci giungono dalla scandinavia, e spesso nemmeno così ben riportate da chi si occupa di corrispondenza estera.
Ettore Guidetti poi, non è un semplice italiano che si è trasferito in Svezia per lavoro, ma è l’allenatore della nazionale femminile di pallavolo svedese, e istruttore del RIG, una sorta di “ginnasio della pallavolo”, situato a Falköping, ed equivalente di quello che, nel campionato di casa nostra è il “Club Italia” cioè un progetto di sviluppo per giocatrici di pallavolo in un percorso scolastico.
Inutile dire che, Ettore Guidetti, fa parte della nota famiglia di allenatori di pallavolo Guidetti tra cui spicca il cugino Giovanni, pluripremiato coach di pallavolo femminile e attualmente operativo a Vafibank di Instambul, una delle squadre più forti al mondo, e coach della nazionale turca.
Coach Guidetti, qui in Emilia Romagna siamo diventati zona arancione, spostamenti sempre più limitati, attività imprenditoriali pure. In molti dicono che invece si dovrebbe fare come in Svezia, dove lei lavora. Qual’è il suo punto di vista da Modenese all’estero?
'Dunque, io lavoro a Falköping, nella contea di Jönköping che attualmente ha 258 contagiati. Di decessi al 13 novembre ce n’è stato uno, in generale non ci sono grandi casi ma va anche detto che, per la grande attenzione che si da alla privacy in questo stato, non si apprende molto relativamente alle persone colpite dal contagio.
Poi ci sono aree più colpite come quella di Göteborg o Stoccolma che però sono anche più popolate'.
E’ vero che la loro soluzione è stata di confinare gli anziani?
'No, è vero semmai che qui tengono moltissimo ai loro anziani, verso di loro c’è una grandissima empatia, ma non sono stati rinchiusi. Anche perché il consiglio che danno per combattere il virus è il seguente: buona alimentazione, attività fisica e respirare all’aria aperta. Questo vale per tutti, così come vale il discorso del distanziamento e qui faccio un esempio: se due mie giocatrici vanno a fare la spesa al supermercato e incrociano una coppia di anziani, aumentano spontaneamente la distanza. Salutano cortesemente ma stanno almeno a cinque metri'.
Qui stanno richiudendo tutto, mentre lì non hanno mai chiuso. Avete mascherine anti kryptonite o il virus non gira per locali o in fasce orarie precise?
'Qui il protocollo è diverso, la mascherina non è obbligatoria né all’aperto né al chiuso, anche perché è sconsigliata da moltissimi medici, i quali dicono che se portata non correttamente, fa più danno che utile. C’è da aggiungere che qui sanificano tutto, anche se, ad esempio, per quello che riguarda il pubblico nei palasport, c’è un tetto dettato dalla capienza'.
Ma la percezione della situazione com’è?
'La percezione è quella di una gravità decisa, però non c’è panico. I telegiornali locali iniziano sempre partendo dalla politica o dalla cronaca e poi parlano anche del Coronavirus. Faccio un altro esempio: quando ho iniziato la mia attività al RIG, le mie giocatrici si lavavano le mani cantando “Mamma Mia” degli Abba. Tutte quante sempre ad ogni lavaggio. Io pensavo fossero come impazzite, ma in realtà hanno semplicemente detto che il tempo necessario per lavarsi le mani era quello della prima strofa della canzone. Messa così è molto meno terroristica che non il dover lavare le mani per oltre un minuto come insegnava la D’Urso'.
Da quel che dice, c’è un invito alla calma, poi sembra che esista comunque un senso civico diverso, anche in base a quello che diceva relativamente agli anziani…
'Va detto che gli Svedesi seguono i consigli come se fossero regole, mentre noi italiani le regole le prendiamo come consigli. A ciò va aggiunto che, burocrazia a parte, lo stato qui ti segue molto bene. Se uno sta male il consiglio è di stare una settimana a casa, in caso di aggravamento c’è un numero di emergenza e hai la possibilità di farti inviare i farmaci a casa. Poi se la situazione peggiora ti ricoverano'.
Stefano Bonacorsi