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Ora che questa pazza crisi agostana è finita e la frenesia degli incontri segreti e delle voci che si rincorrono lascerà spazio alla calma relativa dell'attività governativa, possiamo focalizzare l'attenzione su due eventi, accaduti in contemporanea con la crisi, che hanno portato alla luce il cruciale rapporto tra l'instabilità politica italiana e il ruolo del nostro paese nella politica internazionale.
L'Italia è l'unico paese dell'Unione Europea che non ha ancora fatto sapere il nome del suo commissario. La Commissione Europea è composta da un numero di commissari pari a quello degli Stati membri e a ogni Stato membro spetta un commissario. Il ritardo dell'Italia è da imputarsi alla crisi di governo, scoppiata proprio quando la maggioranza gialloverde doveva mettersi d'accordo sulla persona da mandare a Bruxelles. Solo ora che si è formata una nuova maggioranza il governo italiano potrà rimediare e infatti stamattina informalmente si è appreso che il nome è quello di Paolo Gentiloni.
Inoltre, il presidente del consiglio Giuseppe Conte si presentò da dimissionario al G7 di Biarritz, risultando quindi depotenziato rispetto ai suoi colleghi. È vero che il G7 conta poco per non dire nulla, ma il punto è che il nostro primo ministro, causa crisi di governo, si è presentato da dimissionario a una riunione internazionale. E quando un capo di governo partecipa a una riunione da dimissionario la sua voce conta inevitabilmente meno di quella dei suoi colleghi che possono esercitare la totalità delle loro funzioni.
Questi due eventi – la nomina del commissario italiano e il G7 francese – restituiscono l'immagine di un'Italia che in sede internazionale è rallentata e depotenziata a causa della sua proverbiale instabilità politica. Minimo comun denominatore della politica italiana dal 1948 a oggi in grado di mandare all'aria qualsiasi ridicola categorizzazione dell'età repubblicana.
Immaginiamo per un momento che l'Italia sia tra i firmatari del cosiddetto accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa), siglato nel luglio 2015. Quale voce in capitolo può avere su una questione così cruciale per il mantenimento della sicurezza internazionale un paese che dal luglio 2015 a oggi ha cambiato governo tre volte? Quale fiducia può suscitare, per quanto riguarda il mantenimento degli accordi, un paese i cui governi hanno una vita media che non raggiunge i due anni?
Per contare nell'arena internazionale, per essere ritenuto credibile e per poter influenzare la politica internazionale, un paese deve essere stabile. Al contrario, un paese politicamente instabile subisce gli sviluppi della politica internazionale con chances scarse o nulle di influenzarli.
L'Italia, è sempre bene ricordarlo considerando la diffusa vulgata anti-italiana, è un grande paese. Siamo tra i paesi più ricchi del pianeta – sebbene da quasi tre decenni siamo impantanati nelle sabbie mobili della stagnazione economica – siamo demograficamente rilevanti – sebbene la popolazione italiana sia minacciata da una grave crisi demografica che attende di essere al centro dell'attenzione dei decisori politici – siamo geograficamente strategici e il nostro apparato militare, specialmente la marina, è rispettabile. Ciononostante non siamo una grande potenza: abbiamo perso l'ultima guerra e di conseguenza non siamo tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non abbiamo l'arma nucleare né disponiamo di basi militari all'estero (eccetto una piccola presenza nel Gibuti) né abbiamo territori d'oltremare sparsi per il mondo.
Alla repubblica italiana manca quindi un importante attributo di qualsiasi grande potenza: la stabilità politica, necessaria per essere credibili a livello internazionale. Tutte le grandi potenze democratiche (oltre a Stati Uniti, Regno Unito e Francia, che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e hanno l'arma nucleare, si possono aggiungere almeno Germania e Giappone) sono caratterizzate da stabilità politica mentre l'Italia ha avuto 63 governi in 71 anni.
Ovviamente, la stabilità politica è un requisito necessario ma non sufficiente a far sì che un paese conti nella politica internazionale.
Al di là di tutto quanto detto finora, occorre constatare che le ripercussioni dell'instabilità politica sul ruolo internazionale dell'Italia sono totalmente estranee al dibattito pubblico. Ciò rattrista, ma non sorprende, considerando quanta poca attenzione i mezzi d'informazione, cartacei e televisivi, riservino alla politica internazionale.
A ulteriore riprova della sindrome che colpisce il nostro paese, che sta perdendo la sua cultura internazionale, che dovrebbe essere intrinseca all'Italia per la sua storia, nella convinzione che lo status quo sia eterno.
Massimiliano Palladini
Redazione Pressa
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