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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato incriminato dal procuratore generale Avichai Mandelblit per violazione della fiducia, frode e corruzione in tre casi (1000; 2000; 4000) che lo vedono coinvolto. È un evento storico per lo Stato ebraico: per la prima volta un primo ministro in carica viene incriminato. Nell'ambito del caso 1000 Netanyahu è sospettato di aver ricevuto regali, tra cui champagne e sigari, per centinaia di migliaia di dollari da alcuni facoltosi uomini d'affari in cambio di favori politici. Il caso 2000 vede il primo ministro sospettato di aver stretto un accordo illecito con l'editore di un importante quotidiano del paese: una legislazione che va contro un quotidiano della concorrenza in cambio di una copertura mediatica favorevole. Il caso 4000 è relativo al periodo in cui Netanyahu ricoprì l'incarico di ministro delle comunicazioni, cioè tra il 2014 e il 2017.
Egli avrebbe promosso una legislazione favorevole a una delle maggiori aziende di telecomunicazioni del paese in cambio di una copertura mediatica positiva. Poco dopo la rivelazione della decisione del procuratore generale, Netanyahu ha pronunciato una dichiarazione pubblica in cui ha accusato la magistratura di attaccarlo personalmente.
Il primo ministro ha ribadito che non intende dimettersi, anche perché la legge israeliana non glielo impone. Dal canto suo, il procuratore Mandelblit ha risposto alle accuse del capo del governo affermando che “l'applicazione della legge non è una scelta. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica”. Potrebbero passare mesi prima dell'inizio del processo e anni prima della sentenza. Ciononostante, l'incriminazione decisa dal procuratore generale rappresenta, indubbiamente, una macchia sulla reputazione di Netanyahu in un momento delicatissimo per la politica israeliana.
Lo Stato ebraico, infatti, è ostaggio di uno stallo politico che non gli permette di formare un nuovo governo. A nulla sono valse le elezioni di metà settembre, le seconde del 2019 dopo quelle di aprile. Il paese è da oltre sei mesi impantanato in una crisi di difficile risoluzione. Dopo le elezioni di settembre il presidente della repubblica Reuven Rivlin ha dato sia a Netanyahu che a Benjamin Gantz l'incarico di formare un nuovo governo. Quest'ultimo è il leader del partito Blu e Bianco, il principale avversario del Likud di Netanyahu. Nessuno dei due è però stato in grado di formare un nuovo esecutivo. Proprio ieri Gantz ha rimesso il mandato nelle mani del presidente della repubblica, riconoscendo che non vi sono le possibilità di costruire una maggioranza. Alla luce del doppio fallimento di Gantz e Netanyahu si materializza l'impensabile: elezioni per la terza volta in meno di un anno. Benjamin Netanyahu è stato il protagonista assoluto della politica israeliana e mediorientale di questo decennio.
È primo ministro dal 2009, incarico che già ricoprì tra il 1996 e il 1999. Sotto la sua presidenza Israele ha combattuto due guerre contro Hamas (2012; 2014). Il primo ministro israeliano è noto per la sua tenace ostilità nei confronti dell'Iran, che percepisce come minaccia esistenziale, e negli ultimi anni ha ordinato diversi attacchi aerei contro le postazioni iraniane in territorio siriano, oltre ad avere denunciato il programma nucleare di Teheran e poi l'accordo del 2015. Netanyahu è molto legato agli Stati Uniti, dove ha studiato, e in particolare al presidente Donald Trump, il quale stracciò l'accordo con l'Iran osteggiato da Netanyahu. Trump ha dimostrato la sua vicinanza allo Stato ebraico riconoscendo Gerusalemme capitale d'Israele e l'annessione delle alture del Golan, che si trovano in territorio siriano. Siccome occorrerà aspettare mesi per conoscere gli sviluppi giudiziari dell'incriminazione, non possiamo far altro che porci una domanda fondamentale: in che modo questa vicenda influenzerà la prestazione di Netanyahu, quindi del suo partito, alle prossime, probabili, elezioni?
Massimiliano Palladini
Redazione Pressa
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