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Rousseau, uno dei filosofi più complicati del settecento, aveva in mente una sovranità popolare basata sulla volontà generale e sulla democrazia diretta. Con le sue idee andava contro la monarchia dei tempi - ancora basata sul diritto divino – e per questo è diventato il mito di Casaleggio senior. Al quale, molto più prosaicamente, sarebbe bastato aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, con i suoi portavoce, quelli che “uno vale uno”.
Ma Rousseau, apparentemente fra i padri della democrazia, è stato invece considerato dai liberali italiani un teorico del totalitarismo, nella forma subdola della “democrazia totalitaria”. Perché il filosofo non credeva di certo nella democrazia diretta e nel voto delle masse, così come non credeva in quella rappresentativa. Egli, avendo ben compreso che “una moltitudine cieca, che spesso non sa quello che vuole, non può realizzare da sé un’impresa così grande e così difficile quale un sistema di legislazione”, intendeva piuttosto “obbligare i singoli ad adeguare la loro volontà alla loro ragione”.
E come? Inculcando la “buona strada” alla moltitudine. E prendendo le decisioni, apparentemente collettive, con un meccanismo di voto dove “la deliberazione sia presa dai singoli, i quali votino gli uni indipendentemente dagli altri, senza subire le influenze dei gruppi, delle fazioni, dei partiti”. Previa però “l’istruzione e la guida di chi conosce il bene comune”. Perché per Rousseau il voto è solo la conferma della cosa giusta, decisa da chi conosce il bene comune e trasmessa a tutti gli altri. Per lui “i votanti, in realtà, non hanno, col voto di una maggioranza, affermata una volontà generale. Essa preesisteva, ed essi l’hanno soltanto riconosciuta”, mentre i contrari non possono che “inchinarsi al risultato del voto, che ha fatto loro sapere soltanto che erano nell’errore e non conoscevano la verità”.
Secondo Einaudi questa è la base del totalitarismo, spacciato per democrazia: “Da Robespierre a Babeuf, da Buonarroti a Saint-Simon, da Fourier a Marx, da Mussolini a Hitler, da Lenin a Stalin, si sono succedute le guide a insegnare ai popoli inconsapevoli quale era la verità, quale era la volontà generale, che essi ignoravano; ma che una volta insegnata e riconosciuta, i popoli non potevano rifiutarsi di attuare”.
Ma i 5Stelle possono davvero rappresentare un nuovo totalitarismo? E’ evidente che il recente voto su Rousseau non ha nessun senso, se valutato con i criteri della logica e di quella politica naïf che avrebbero dovuto portare avanti i 5Stelle. Sarebbe stato interessante, un mese fa, chiedere separatamente a ogni elettore del Movimento: “vuoi tu partecipare a un governo presieduto dal leader storico della BCE, retto da Matteo Renzi e Matteo Salvini - quelli che hanno fatto cadere Conte per due volte affossandolo per sempre - con dentro Brunetta e la Gelmini, senza ottenere ministeri chiave, retti invece da esponenti del PD e della Lega, senza Bonafede e senza la Azzolina, ma salvando solo il posto sicuro a Di Maio?”. E quale sarebbe potuta essere la risposta, prima dell’intervento ipnotico di Grillo – l’Elevato, guida e istruttore in quanto conoscitore del bene comune?
Quel voto ha un senso solo se si pensa che Casaleggio, Grillo e Di Maio si siano venduti il Movimento per un solo unico vero bene comune: il loro. Temendo di perdere tutto quanto creato con il voto anticipato o con l’uscita dal salotto buono, e sperando invece di mantenere - sfruttando i ciclici andirivieni della politica - un bacino residuo di consenso, potere, poltrone e flussi di cassa verso Rousseau. In questo senso il Movimento diventa allora totalitario: come ogni setta.
Magath
Magath Felix
Dietro allo pseudonimo Magath un noto personaggio modenese che racconterà una Modena senza filtri. La responsabilità di quanto pubblicato da Magath ricade solo sul dirett..
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